(Sesto Potere) – Milano – 12 ottobre 2024 – Con alcuni appuntamenti elettorali a breve scadenza – si vota: in Liguria (domenica 27 e lunedì 28 ottobre in seguito alle dimissioni di Giovanni Toti), in Emilia-Romagna (domenica 17 e lunedì 18 novembre 2024, in seguito alle dimissioni di Stefano Bonaccini eletto all’ europarlamento), e in Umbria (17 e 18 novembre) – è interessate evidenziare i contenuti di un nuovo studio pubblicato sulla rivista PNAS Nexus, che rivela come gli algoritmi dei social media favoriscano il contenuto politico sponsorizzato da determinati partiti a parità di budget investito.
La ricerca, frutto di una collaborazione tra il Politecnico di Milano, la LMU – Ludwig Maximilians Universität di Monaco e l’istituto CENTAI di Torino, ha analizzato oltre 80.000 inserzioni politiche su Facebook e Instagram prima delle elezioni federali tedesche del 2021. Gli annunci sono stati inseriti da partiti di tutto lo spettro politico e hanno generato più di 1,1 miliardi di impressioni durante un’elezione con più di 60 milioni di elettori idonei.
Investigando le disuguaglianze nelle campagne online, sono emerse discrepanze significative nell’efficacia della pubblicità e nell’intensità con cui gli annunci hanno raggiunto i loro obiettivi premiando i gruppi più estremisti.
Utilizzando i dati raccolti, è emerso che oltre il 70% dei partiti ha utilizzato la profilazione degli utenti negli annunci.
Inoltre, calcolando le variazioni dei costi per la pubblicità (impressioni per euro speso) risulta che non tutti i partiti hanno ottenuto risultati uguali a parità di budget.
L’estrema destra dell’AFD è risultata la più efficace con annunci quasi sei volte più performanti rispetto ai competitor che avevano investito lo stesso budget. I Verdi sono stati il partito con minor efficacia di costo.
“Il maggiore successo della loro pubblicità potrebbe essere spiegato dal fatto che le questioni politiche incendiarie promosse dai partiti populisti tendono ad attirare molta attenzione sui social media. Di conseguenza, gli algoritmi favorirebbero annunci di campagne con tali contenuti” spiega Francesco Pierri, ricercatore del gruppo di ricerca Data Science del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano che ha co-guidato il lavoro.
Un’altra scoperta dello studio sono state le discrepanze per tutti i partiti tra il pubblico mirato e quello effettivo. Mentre la maggior parte dei
partiti tendeva a raggiungere un pubblico più giovane di quello previsto, il contrario è avvenuto per l’estrema destra. Pierri e i suoi colleghi ipotizzano che il bias algoritmico nella distribuzione degli annunci sia basato sul comportamento degli elettori già noto.
“Vediamo un bias sistematico nel modo in cui vengono distribuiti gli annunci politici dei diversi partiti. Se mirano ad un pubblico specifico o
inviano messaggi contraddittori su questioni politiche a diversi gruppi, ciò può limitare la partecipazione politica dei gruppi svantaggiati,” continua Pierri. “Ancora peggio, gli algoritmi utilizzati dalle piattaforme non permettono di verificare se comportino dei bias nella distribuzione degli annunci. Se, per esempio, alcuni partiti pagano sistematicamente prezzi più alti di altri per annunci simili, ciò danneggia la competizione politica. Abbiamo bisogno di maggiore trasparenza da parte delle piattaforme in relazione alla pubblicità politica per garantire elezioni eque e non compromesse”.
Non sorprende, quindi, che la pubblicità politica mirata sui social media abbia suscitato seri dubbi tra attori politici, ricercatori e la società in
generale.
E le richieste di migliorare il monitoraggio di questa forma di pubblicità elettorale per salvaguardare l’integrità democratica si fanno
sempre più forti.
La pressione pubblica e gli sforzi normativi (ad esempio, il Digital Services Act nell’UE) hanno spinto le piattaforme di social media a fornire accesso pubblico agli annunci politici e sociali, permettendo ai ricercatori di studiarli su larga scala.