(Sesto Potere) – Roma – 22 luglio 2025 – Cosa fare dopo l’esame di maturità? Una domanda la cui “risposta esatta” può fare, in ottica futura, tutta la differenza del mondo, sia dal punto di vista professionale che personale. Eppure, a poche settimane dall’esame di Stato, solo il 29% dei maturandi ha potuto affermare di avere le idee del tutto chiare sul percorso da intraprendere con il titolo scolastico in mano.
A rivelarlo è l’annuale Osservatorio “Giovani e Orientamento”, realizzato da Skuola.net in collaborazione con Gi EDU – la divisione di Gi Group che affianca docenti e studenti per rispondere alle esigenze di orientamento di scuole e università – che è andata a raccogliere il parere di 1.000 neodiplomati sulle loro prospettive post diploma.
Una delle principali cause di questo fenomeno in cui l’Italia tristemente svetta a livello europeo risiede proprio nel mismatch, ovvero un mancato allineamento tra le competenze che cerca il mercato del lavoro e quelle che offrono i nostri giovani a causa spesso di un’attività di orientamento poco efficace. Coordinate, queste, che dovrebbero essere alla base dell’orientamento scolastico.
Tuttavia, i dati mostrano anche un’apprezzabile inversione di tendenza: rispetto al 2023 un miglioramento del 30% di coloro che hanno le idee chiare, mentre rispetto al 2024 si assiste a una riduzione del 10% di coloro che hanno paura di finire nel vicolo cieco dei NEET, ovvero i giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in attività formative. Un tema talmente centrale, questo, che Fondazione Gi Group ha voluto dedicargli un laboratorio permanente – chiamato Dedalo – che monitora costantemente il fenomeno.
A imprimere questa svolta – ancora timida ma concreta – registrata dall’Osservatorio dopo anni in cui il tasso di indecisi restava tristemente alto e stabile, potrebbe aver contribuito in modo decisivo l’ultima riforma dell’orientamento scolastico, in vigore dal 2023, che prevede almeno 30 ore annue obbligatorie di attività di affiancamento per gli studenti delle classi finali delle scuole secondarie di secondo grado.
Certo, il lavoro da fare – e questo è un bene in ottica di miglioramenti attesi in futuro – resta parecchio. Lo conferma anche un’altra ricerca – condotta sempre da Gi EDU in collaborazione con Fondazione ANP (Associazione nazionale Presidi), coinvolgendo 300 Dirigenti scolastici – che ha rilevato come ben 9 Presidi su 10 raccontino che nel proprio istituto l’orientamento si limita ancora soprattutto a momenti informativi, spesso generici.
Anche se, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, parallelamente si registra un crescente ricorso a professionisti specializzati: ormai oltre 2 istituti su 3 – l’indagine parla di un 68,2% – utilizzano almeno un servizio esterno di supporto all’orientamento coinvolgendo imprese, enti di formazione, agenzie per il lavoro, centri per l’impiego.
Questo avviene perché, se una volta era relativamente semplice orientare gli studenti, oggi il mercato delle competenze richieste sul posto di lavoro è talmente dinamico e mutevole che i docenti incaricati, seppur formati, possono non essere in grado di svolgere questa attività nel migliore dei modi.
Sicuramente, a prescindere dal tipo di orientamento svolto, centrale sarebbe partire quanto prima possibile durante il percorso scolastico. Cosa che non sempre avviene: solo il 25% dei maturandi dice di aver iniziato le attività di orientamento almeno tre anni prima (in terza superiore), il 33% lo ha fatto solo dalla quarta superiore, mentre il 23% ha addirittura iniziato last minute, negli ultimi mesi di scuola. Sempre meglio di quel 19% che dichiara di non aver svolto attività degne di nota su questo fronte. Anche qui, però, registriamo un miglioramento: nel 2023 quelli dell’orientamento tardivo erano il 33% mentre i “tabula rasa” il 26%. La crescita è evidente, ma non sufficiente.
Inoltre, se per quanto riguarda la “quantità” qualcosa si muove, sulla qualità percepita dei contenuti proposti i margini di miglioramento sono decisamente importanti. Non è un caso che solo il 17% abbia trovato “molto utili” queste attività. E, considerando anche quelli che in qualche modo le hanno promosse – giudicandole “abbastanza utili” -, si rimane nel perimetro della minoranza, più precisamente il 48% del campione di riferimento.
Scegliendo il punto di osservazione opposto, il conto è presto fatto: oltre la metà dei diplomandi ha ritenuto l’orientamento proposto “poco” (41%) o “per niente” efficace (11%). E non tanto per disinteresse: tra chi non lo ha apprezzato, la quota maggioritaria – circa 1 su 2 – lo ha vissuto come eccessivamente noioso e teorico. Forse perché distante dal loro modo di intendere questi percorsi.
Il vero problema, infatti, risiede nell’impostazione data ai momenti di orientamento. La maggior parte delle scuole continua a puntare su testimonianze da parte di rappresentanti di università ed enti di formazione post diploma: è stato il leit motiv delle attività a cui ha assistito oltre un terzo dei maturandi (34%). E per il 57% di loro si è parlato soprattutto di corsi accademici, limitando di fatto la rosa di opportunità a disposizione delle ragazze e dei ragazzi per il post diploma.
Tutto il contrario di quello di cui avrebbero bisogno gli studenti. Perché quasi 9 su 10 vorrebbero attività meno teoriche e più legate al mondo reale: il 43% avrebbe voluto fare soprattutto esperienze pratiche, il 30% avrebbe gradito qualche visita presso le strutture alla cui porta dovranno bussare un domani (aziende, uffici, atenei, centri di formazione), il 10% avrebbe voluto ascoltare più testimonianze di esperti o di persone che “ce l’hanno fatta” nei propri settori di riferimento.
Al contrario, gli istituti sostengono di aver offerto ai propri ragazzi e ragazze visite aziendali o testimonianze aziendali nel 70,9% dei casi. E il 44,3% dice di aver organizzato stage e tirocini per i propri giovani.
Divergenze di percezione che, in ogni caso, non devono distogliere lo sguardo dal fatto che, anche secondo il punto di vista dei Dirigenti scolastici, l’orientamento va quantomeno potenziato, a partire dal “capitale umano”: appena il 3% dei docenti viene considerato dai Presidi realmente preparato nell’accompagnare gli studenti con strumenti e soft skill adatte a guidarli nelle scelte.
Per questo, quasi 7 Dirigenti scolastici su 10 segnalano che avrebbero bisogno di supporto nella formazione delle risorse interne. Mentre il 45% ammette che sarebbe utile un sostegno da parte di esperti esterni in fase di progettazione, organizzazione ed erogazione dei percorsi. Con il 40% che aggiunge a tutto ciò il desiderio di un aiuto esterno per identificare soluzioni innovative di orientamento.
D’altra parte, la novità della riforma e le difficoltà di una prima realizzazione dei suoi obiettivi non consentono ancora di valutare l’impatto effettivo delle azioni realizzate, come del resto affermato dal 45% dei Dirigenti interpellati.
“La recente riforma dell’orientamento – con l’introduzione di docenti orientatori e tutor, assieme all’obbligo delle 30 ore annuali dedicate al tema – ha sicuramente rivitalizzato un ambito che la scuola ha ben presente ma che in molti casi fatica a sviluppare: per questo non sorprende che circa la metà dei maturandi non sia soddisfatta delle attività di orientamento svolte e conviva con la preoccupazione di finire per non avere prospettive di studio o di lavoro”, commenta così i dati della ricerca Alessandro Nodari, Candidate Management & Employer Branding Senior Director di Gi Group.
“Al tempo stesso – prosegue Nodari – l’indagine condotta con Fondazione ANP sui Presidi mostra come gli stessi docenti, oggi, necessitino di maggiori competenze per svolgere efficacemente questo compito. E proprio in quest’ottica c’è bisogno del supporto di esperti del settore, per accompagnare le ragazze e i ragazzi verso una scelta consapevole per il loro futuro”.