(Sesto Potere) – Forlì – 21 febbraio 2025 – Con: “Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie”, grande mostra a cura di Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e il Museo Civico San Domenico inaugurano la stagione 2025 con un nuovo lungo viaggio tra capolavori, che ricostruisce la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell’ artista nella storia dell’arte.
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Esposizione presentata questa mattina in anteprima e in conferenza stampa ai Musei del San Domenico.
Presenti tra gli altri: il presidente della Fondazione Carisp, Maurizio Gardini, che ha manifestato “orgoglio” per la tradizione ormai consolidata – da 20 anni – per le grandi mostre al San Domenico ed ha parlato della candidatura di Forlì a città capitale della cultura per il 2028 come di un “progetto molto importante”; il sindaco di Forlì Gian Luca Zattini che si è complimentato con gli organizzatori per aver concorso con le grandi mostre al San Domenico a trasformare Forlì in città d’arte; e l’assessore regionale alla Cultura Gessica Allegni che ha sottolineato e rinnovato il sostegno della Regione a una proposta come questa che promuove oltre alle arti anche il territorio, in una idea che concilia: cura e promozione del patrimonio e della cultura con il turismo.
Da Allegni l’auspicio che Forlì e Cesena riescano a sostenere in connubio e sinergia la candidatura delle due città a Capitali della cultura.
Un invito che lo stesso sindaco Zattini – nell’ introduzione del suo intervento – ha sostanzialmente già recepito parlando di un’idea (la candidatura) che nelle intenzioni vuole interessare in realtà tutto il territorio attraverso una disponibilità a collaborare.
Un invito che lo stesso sindaco Zattini – nell’ introduzione del suo intervento – ha sostanzialmente già recepito parlando di un’idea (la candidatura) che nelle intenzioni vuole interessare in realtà tutto il territori in un’ottica di collaborazione reciproca.
Era presente in conferenza stampa anche il vicesindaco e assessore alla Cultura Vincenzo Bongiorno.
Hanno preso la parola: il direttore di MediaFriends, Alessandro Billi, che ha confermato la collaborazione con le Grandi Mostre del San Domenico, e i curatori della mostra: le professoresse Paola Refice e Cristina Acidini e Francesco Parisi.
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“Nel Medioevo non esistono autoritratti. Esistono, però, ritratti che l’artista fa di sé stesso all’interno dell’opera. Questa apparente contraddizione si basa sul ruolo stesso del fare artistico. Il pittore – o il lapicida, o l’architetto, o il miniatore – è un artigiano. Abile ed esperto quanto si vuole, ma rimane, in sostanza, un esecutore. La sua coscienza di sé è destinata a crescere mano a mano che la sua attività si affranca dalla sfera delle arti meccaniche per approdare a quella delle arti liberali. Sin dai primordi di questa lenta ascesa, l’artista reclama un posto, pur minimo, all’interno del processo creativo. Rivolgendosi al Creatore, che nella cultura medievale è la fonte di ogni rappresentazione della realtà, gli dedica la propria opera raffigurandosi al suo interno. Sono le figure che troviamo nelle lastre scolpite degli amboni o nei codici miniati, e, più tardi, nei cicli degli affreschi di età gotica: non soggetti dell’opera, come accadrà dal Rinascimento, ma parte sostanziale del processo creativo”: ha spiegato la curatrice Paola Refice.
“La coscienza della propria identità interiore passa attraverso la contemplazione dell’immagine di sé, come si vede riflessa nello specchio: uno specchio che, nel linguaggio simbolico della filosofia e dell’arte d’Occidente, può essere a seconda del contesto lo strumento di un’analisi virtuosa oppure l’arnese ”micidiale“ (l’aggettivo è del Petrarca) di un vano compiacimento. Per questo in mostra sono rappresentate le allegorie, di segno opposto, della Prudenza e della Vanità. La prima è una virtù che si scruta nello specchio, meditando scelte caute e assennate. La seconda, invece, cerca nello specchio la conferma della sua effimera bellezza fisica. Il nome latino, vanitas, designa un tipo di ”natura morta“ che allude alla brevità della vita e dei piaceri. Il tema dello specchio torna nell’autoritratto, un genere speciale di ritratto in cui l’artista rappresenta sé stesso e insieme il suo stato sociale, i suoi gusti, il suo mondo. Fra quelli in mostra, un nucleo proviene dalla collezione di autoritratti più prestigiosa al mondo, nelle Gallerie degli Uffizi a Firenze”: ha aggiunto la curatrice Cristina Acidini riferendosi al tema dello specchio.
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“Con l’aprirsi dell’Ottocento, saranno i due grandi protagonisti della nascita e dell’affermazione della moderna scultura neoclassica, Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen a perseguire – entrando a un certo punto in rivalità – un percorso di autocelebrazione, affidando ai loro autoritratti divinizzati, la loro gloria immortale. Ma il genere dell’autoritratto si affermerà soprattutto con la nuova temperie romantica, assumendo un valore emblematico nel restituire la potenza creativa, l’ingegno, e la condizione esistenziale dell’artista, oltre che il suo ruolo – talvolta conflittuale – in una società che stava cambiando. Nei moltissimi autoritratti, scanditi con continuità lungo tutto lo svolgimento di una strepitosa carriera, sarà Francesco Hayez – protagonista del Romanticismo storico italiano – a dimostrare di saper gestire, come pochi altri artisti, la propria immagine, anche nei rapporti con la committenza e il potere. Lungo tutto il secolo, gli artisti – da Ingres a Moreau, dal Piccio a Fattori, da Max Klinger a Franz von Stuck – hanno impiegato l’autoritratto come mezzo per rivendicare orgogliosamente il loro posto nella società, oppure come strumento di autoanalisi mettendo a nudo la loro dimensione più intima. Un cambiamento radicale avverrà nel Novecento, con la nascita delle avanguardie e poi nel clima del ritorno all’ordine tra le due guerre, quando l’autoritratto assumerà il valore di una dichiarazione programmatica del percorso creativo dell’artista, come nel caso di Giorgio de Chirico che varierà all’infinito la rappresentazione di sé stesso, rispecchiandovi i diversi momenti di una vicenda straordinaria”: ha aggiunto il curatore Fernando Mazzocca.
Così Gianfranco Brunelli, (nella foto in alto) Direttore delle Grandi Mostre del Museo Civico San Domenico, così ha descritto la prospettiva da cui è nato il progetto della nuova grande mostra: «Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell’acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato per ogni artista una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù».
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Il ritratto dell’artista è un autografo esistenziale. Segno, traccia, memoria, riflesso da tradurre in un’immagine definitiva, giocata nel tempo, contro il tempo, oltre il tempo. Nell’autoritratto il pittore si sdoppia nel duplice ruolo di modello e di artista. L’occhio si posa sull’immagine riflessa per ritrarsi e l’immagine ritratta è un alter da sé ed è un sé. Spesso ne viene fuori una maschera. Personaggio più che persona. Per molti artisti è così, dal Quattrocento al Novecento.
L’artista figura tra gli uomini illustri, si fa metafora, protagonista e immagine del proprio tempo. L’artista recita, si mette in mezzo, sbuca da una sua opera che parla d’altro: in mezzo a un racconto mitologico, a una storia sacra, a un evento storico. Come fanno Giovanni Bellini, Tintoretto, Lavinia Fontana, Diego Velasquez, Sofonisba Anguissola, Lotto, Pontormo, Parmigianino, Rembrandt, Tiziano, Hayez, Böcklin, De Chirico, Balla, Sironi, Baconfino a Bill Violae Chuck Close.
Nudo o vestito, truccato o travestito, sorridente o malinconico, attraverso l’immagine di sé, l’artista rintraccia il proprio mondo interiore, il significato della propria arte, l’unicità del proprio stile. Per questo non è necessario ritrarsi interamente, basta un volto o un piede.
Ciò che rende così affascinante e quasi irrinunciabile l’autoritratto agli occhi degliartisti –e non solo – è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia.
L’immagine funziona da doppio del soggetto, come nel mito di Narciso ripreso da tutta lastoria della pittura e della letteratura fino ad approdare, nel Novecento, alla psicoanalisi freudiana.
Il Ritratto dell’Artista: Nello specchio di Narciso si pone dunque come una storia in immagini offrendo una visione affascinante e articolata di uno dei temi più universali e significativi nell’arte.
Una mostra – che nel 2025 celebra i vent’anni della struttura museale inaugurata nel 2005 a opera della Fondazione Cassa dei Risparmi – e porta a Forlì oltre 200 capolavori – dall’antichità al Novecento, con grandi “firme” che sarà possibile ammirare: da Caravaggio a Jan van Eyck, da Jan Gossaert a De Chirico, da Goya a Magritte, da Severini a Viola, da Frida Kahlo a Bellini , a Pontormo, e da Cerrini ad Hayez, passando per Guttuso e molti altri.
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In mostra non solo pittura, ma anche scultura e documenti storici, in un percorso espositivo che promette di offrire una riflessione inedita sul concetto di ritratto e autoritratto.
Opere in arrivo da tutta Italia e dal mondo, provenienti da collezioni da tutta Europa, fra i quali: Gallerie degli Uffizi e Museo del Bargello di Firenze, Galleria Doria Pamphilj, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma, Pinacoteca Nazionale di Bologna, Biblioteca Apostolica Vaticana, Accademia Carrara di Bergamo, Musei Reali di Torino, Mart di Rovereto, Musée d’Orsay e Musée Moreau di Parigi, Galerie Belvedere di Vienna, Fine Arts Museum of Budapest, Musée des Beaux-Arts de Strasbourg, Kunsthalle di Brema, Museo de Arte de Ponce di Puerto Rico, Denver Art Museum e tanti altri…
La sezione Autobiografie. Le passioni e la storia racconta l’autoritratto con una valenza romantica, l’elaborazione di una mito dell’artista come eroe solitario e profeta dell’arte. La generazione tra la fine del Settecento e i primi trent’anni dell’Ottocento si mostra in una sequenza di volti da fermo immagine, in un turbinio di eventi storici ed emozioni, una galleria di autoritratti che raccontano la ricerca dell’io fino all’arrivo della fotografia che se ne impossesserà. Rappresentativo il celebre Autoritratto di Gustave Moreau.
Con l’aumento del soggettivismo, l’esito simbolista dell’autoritratto segna, complice la fotografia, la contestazione dei riti collettivi e la costruzione di una mitologia personale, tanto da giungere nel cuore del Novecento. L’Autoritratto di Juana Romani, la Testa di Medusa di Arnold Böcklin o l’Autoritratto con turbante giallo di Emile Bernard, sono alcune delle opere protagoniste della sezione Il linguaggio segreto dei simboli, mentre Autosmorfia di Giacomo Balla, Autoritratto con corazza di Armando Spadini accompagnano il pubblico nell’ultima parte della mostra con Narciso nello specchio del Novecento.
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Nel XX secolo diventa importante la somma di tutte le immagini con cui l’artista cerca di farsi conoscere e di conoscersi, producendo un attento, continuo, quasi ossessivo studio di sé. Il Novecento scopre nell’orrore della propria storia, che l’uomo è l’enigma e il mostro. De Chirico – presente con Autoritratto nudo – si interroga, attraverso quella innumerevole produzione di autoimmagini, sulla natura dell’uomo e del mondo, assumendo l’enigma come cifra interpretativa dell’umano, con un esito inizialmente nichilista.
E anche il Ritorno all’Ordine dei primi novecentisti – come nell’imbronciato Autoritratto di Sironi del 1908, con quella bipartizione tra «chiaro» e «scuro» in una luce senza calore, con la sua solenne sospensione neo-quattrocentesca della figura e del gesto – sembra cercare di ritrovare quella dispersa armonia tra l’uomo e la realtà.
Conclude l’esposizione la sezione Il volto e lo sguardo, in cui troviamo declinazioni disparate della rappresentazione di sé, che spaziano da L’uomo nero di Michelangelo Pistoletto a Mario Ceroli che nel suo Autoritratto del 1968, proveniente dalla Collezione Luigi e Peppino Agrati – Intesa Sanpaolo, si presenta con le sue classiche sagome di legno, in affinità dunque con gli altri suoi soggetti. In questa ultima sezione è presente anche Self Portrait, Submerged di Bill Viola e l’opera Ecstasy II dalla serie Eyes Closed di Marina Abramović che indaga come la rappresentazione del sé possa contenere anche un grido di dolore, la sofferenza sul viso dell’artista che diventa martire e simbolo dell’Umanità e dei suoi travagli.
Per informazioni:
https://mostremuseisandomenico.it/
https://www.facebook.com/mostraritrattoforli
La mostra si svolgerà dal 23 febbraio al 29 giugno 2025.
Gli orari di apertura della mostra:
Lunedì-venerdì, ore 9.30 – 19.00
Sabato, domenica e festivi, ore 9.30 – 20.00
La biglietteria chiude 60 minuti prima
Il catalogo è edito da Dario Cimorelli Editore.
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