(Sesto Potere) – Forlì – 19 settembre 2025 – Serata emozionante quella vissuta dai soci del Panathlon Club Forlì giovedì sera, con protagonista assoluto l’ex pallavolista Giacomo “Jack” Sintini, intervistato da Mario Fedriga.
Nel 2011 Sintini, romagnolo nato a Lugo, nel momento migliore della sua carriera sportiva scoprì di avere un tumore; dopo un anno e mezzo di cure riuscì a ritornare a giocare e subito decise di fondare una associazione, che porta ancora oggi il suo nome, per aiutare le persone che, come lui, erano state colpite dalla malattia. Poi nel 2014 pubblicò il libro “Forza e coraggio”, nel quale racconta la sua drammatica esperienza e come si può rinascere.
Sintini ha aperto l’incontro raccontando la sua storia sportiva durata ben 23 anni, corredata da 97 presenze in nazionale.
“Nel corso della mia carriera – ha detto Jack – ho vinto ma ho anche perso tante volte. Sono diventato pallavolista per caso, perché in realtà volevo diventare un calciatore. A 9 anni venni scelto dal Bologna ma i miei genitori non mi lasciarono andare. Di lì a poco crebbi in poco più di un anno di 21 centimetri, il mio allenatore non mi faceva più giocare essendo diventato molto più lento e così abbandonai il calcio. Passai quindi alla pallavolo, sport in cui gli alti giocano sempre. Feci un provino per l’allora squadra di Ravenna sponsorizzata dal Messaggero ma andò male, eppure Giuseppe Brusi, general manager della formazione ravennate, mi disse che sarei entrato a far parte della squadra negli anni a venire perché avevo una cosa che non si poteva imparare: il tocco di palla. Ha avuto ragione e le cose sono andate bene. Ma nel 2011 scoprii di avere un cancro. Le cure furono pesanti ma ottimali e riuscii a ritornare a giocare. Nel 2013, dopo l’ultimo punto vincente che sancì il momento della vittoria del campionato italiano con la squadra di Trento, mi gettai in ginocchio e mi venne in mente soltanto una parola: grazie”.
Fedriga ha poi chiesto all’ospite se lo sport lo avesse aiutato ad affrontare la malattia.
“Ho trattato la malattia con lo stesso spirito che mi aveva fatto amare lo sport – ha aggiunto Jack . Ho passato la maggior parte della mia vita in palestra e prima di tutto ho pensato che per superare la malattia occorreva avere una squadra, perché non si vince da soli ma con i compagni. Perciò mi sono affidato alle persone e ai medici più competenti, come avveniva con gli allenatori. E poi ho fatto tutto quello che potevo, perché puoi fare bene solo quello che ti compete. All’epoca mia figlia aveva solo un anno, mi sentivo sfortunato ma a darmi la forza è stata lei. Si affrontano le difficoltà giorno per giorno e si deve pensare solo al momento presente. Ognuno è l’allenatore di sé stesso e il nostro atteggiamento è tutto nelle nostre mani”.
Nell’ultima parte della toccante conversazione Sintini ha parlato di cambiamento, disciplina e pazienza.
“Ho affrontato diversi tipi di cambiamento, alcuni dei quali mi sono stati imposti. L’impatto emotivo a volte ti fa avvertire un fortissimo senso di inadeguatezza, perciò ho dovuto imparare che la prima cosa da fare per affrontare il cambiamento è accettare la propria condizione.
La seconda cosa che ho imparato è la disciplina: il famoso pugile Mike Tyson andava a correre tutti i giorni alle 4 del mattino e un giornalista gli chiese perché lo facesse. Rispose che andava alle 4 perché non avevo voglia di farlo. Questa, secondo me, è disciplina. Non è facile rinunciare a lasagne e cappelletti, ma se vuoi emergere devi imparare a essere disciplinato. La terza cosa fondamentale è la pazienza: a 17 anni venni chiamato da Julio Velasco per sostituire un giocatore della nazionale infortunato. Io non vedevo l’ora di allenarmi con i miei idoli. Tutto bene i primi due giorni, al terzo mi sentivo pronto e tentai di fare qualcosa troppo difficile per me. Feci una figuraccia e tutti risero”.
“Velasco a fine allenamento mi disse di rimanere in palestra fino a quando non fossi riuscito a fare ciò che avevo maldestramente tentato, ma più provavo più sbagliavo. Ero giù di morale e alla fine Velasco si avvicinò, mi mise una mano sulla spalla e disse: l’acqua bolle a 100 gradi. Voleva dire che per me era ancora troppo presto: serve pazienza in tutte le cose. La cosa più difficile per chi è ammalato è la prospettiva. La malattia ti toglie la possibilità di fare programmi e questa è la paura più grande. La mia associazione lavora per dare prospettive a chi non può averne. Ci sono giornate negative ma se hai vicino le persone giuste si riescono a superare. Le persone fanno la differenza”: ha concluso Sintini