(Sesto Potere) – Roma – 11 gennaio 2024 – Nei giorni scorsi il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin (nella foto in alto) ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) il documento di indirizzo e governance per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, in attuazione alla Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del 2015.
Il piano è accompagnato da quattro allegati dedicati alle strategie regionali, a quelle locali, agli impatti e alla vulnerabilità, e alle azioni. La struttura del Piano è articolata in sei parti: il quadro giuridico di riferimento; il quadro climatico nazionale; impatti dei cambiamenti climatici in Italia e vulnerabilità settoriali; misure e azioni; finanziare l’adattamento ai cambiamenti climatici; governance dell’adattamento.
Il clima in Italia
I segnali del cambiamento climatico in Italia sono sempre più evidenti: il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1961. L’analisi degli estremi mostra un aumento degli indici legati agli estremi di caldo e una riduzione di quelli rappresentativi degli estremi di freddo. Nel 2022 le precipitazioni sono state ben inferiori alla media climatologica, soprattutto durante l’inverno e la primavera nell’Italia centro-settentrionale, con anomalie precipitative superiori a -40% rispetto al periodo 1991-2020; diverse aree del Nord Italia hanno sperimentato condizioni di siccità severa ed estrema.
I tre scenari del Piano
Il Piano presenta alcune proiezioni su quello che potrebbe accadere in Italia dal 2036 al 2065 e delinea tre scenari possibili. In uno scenario a elevate emissioni (RCP 8.5) il Pnacc prevede, entro il 2100, concentrazioni atmosferiche di CO2 triplicate o quadruplicate (840-1120 ppm) rispetto ai livelli preindustriali (280 ppm). Lo scenario a elevate emissioni risulta caratterizzato dal verificarsi di un consumo intensivo di combustibili fossili e dalla mancata adozione di qualsiasi politica di mitigazione con un conseguente innalzamento della temperatura globale pari a +4-5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali atteso per la fine del secolo.
In uno scenario intermedio (RCP 4.5), che assume la messa in atto di alcune iniziative per controllare le emissioni, sono considerati scenari di stabilizzazione: entro il 2070 le concentrazioni di CO2 scendono al di sotto dei livelli attuali (400 ppm) e la concentrazione atmosferica si stabilizza, entro la fine del secolo, a circa il doppio dei livelli preindustriali.
In uno scenario di mitigazione aggressiva (RCP 2.6), invece, le emissioni sarebbero dimezzate entro il 2050.
Le misure
Il piano individua 361 misure da adottare su scala nazionale o regionale, finalizzate a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici. Le misure riguardano un ampio ventaglio di tematiche: acquacoltura, agricoltura, energia, turismo, foreste, dissesto idrogeologico, desertificazione, ecosistemi acquatici e terrestri, zone costiere, industrie, insediamenti urbani, patrimonio culturale, risorse idriche, pesca, salute e trasporti.
Le misure sono differenziate in base all’entità degli interventi richiesti: le azioni “soft” non richiedono interventi strutturali e materiali diretti, le azioni “green” richiedono interventi materiali che intervengano solo sulle risorse naturali già a nostra disposizione, mentre le azioni “grey” prevedono sforzi infrastrutturali come la costruzione di nuovi impianti e infrastrutture. La grande maggioranza delle azioni – oltre 250 – è classificata come “soft”, nonostante gli ultimi mesi abbiano messo in evidenza l’estrema necessità di interventi di adattamento profondi.