(Sesto Potere) – Meldola (FC), 25 giugno 2024 – Nuovi orizzonti per la messa a punto di farmaci finalmente efficaci contro la forma di leucemia mieloide acuta (AML) più aggressiva e insensibile alle terapie attualmente disponibili.
Grazie ai risultati di uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications – titolato Orthogonal proteogenomic analysis identifies the druggable PA2G4-MYC axis in 3q26 AML – si apre infatti uno spiraglio per la lotta alla AML caratterizzata da una particolare disfunzione, un’anomala attività del fattore di trascrizione EVI1 (MECOM) e determinata da un riarrangiamento del cromosoma 3q26.
L’articolo, che ha come primo autore il dott. Matteo Marchesini – per quattro anni all’Università di Parma e ora ricercatore della Translational Hematology Unit (coordinatrice la dott.ssa Giorgia Simonetti) del Laboratorio di Bioscienze IRST – è frutto di un lavoro pluriennale, avviato grazie al sostegno di Fondazione AIRC tramite bando “Start-Up grant” guidato dal prof. Giovanni Roti (docente del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo e Direttore dell’Ematologia e Centro Trapianto di Midollo Osseo dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma).
Le ricercatrici e i ricercatori impegnati nello studio sono partiti da uno screening di farmaci ad ampio spettro, valutando le interazioni di oltre 5mila molecole con cellule leucemiche in coltura caratterizzate dal riarrangiamento del cromosoma 3q26. Hanno così trovato che una particolare classe di farmaci, la classe di inibitori delle deacetilasi istoniche (HDACi), era quella maggiormente in grado di bloccare la proliferazione delle cellule tumorali.
I farmaci sono stati quindi sperimentati in colture tridimensionali di leucemia mieloide acuta – generate all’IRST dalle dott.sse Chiara Liverani e Chiara Spadazzi (rispettivamente coordinatrice e riceractrice della Preclinic and Osteoncology Unit) co-autrici della ricerca – in campioni clinici e modelli murini di 3q26 AML grazie al centrale impegno dell’Unità di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo dell’AOU di Parma, e dei collaboratori nazionali ed internazionali dello studio tra i quali l’Istituto di Ematologia e Centro di Ricerca Onco-Ematologica dell’Università di Perugia (prof. Cristina Mecucci e Dr. Roberta La Starza) e l’MD Anderson Cancer Center – Texas University (prof. Simona Colla).
Per chiarire il meccanismo d’azione di questi farmaci, che peraltro sono già disponibili e sperimentati per sicurezza ed efficacia in altri contesti, ricercatrici e ricercatori hanno quindi identificato le proteine che interagiscono con la disfunzione che caratterizza la forma di AML più aggressiva studiata: l’anomala attività del fattore di trascrizione EVI1 (MECOM). A questo scopo hanno utilizzato la spettrometria di massa applicata ad analisi omiche di ChiP sequencing e di espressione genica (quest’ultima con il supporto della dott.ssa Francesca Ruggieri, Translational Hematology Unit, IRST).
Tra le proteine valutate, la modulazione genica o chimica della proteina proliferation-associated 2G4 (PA2G4) si è dimostrata avere un ruolo centrale nella repressione di EVI1 mediata dai farmaci HDACi. Un risultato che pone concrete basi per lo studio di nuove combinazioni terapeutiche o per lo sviluppo di nuovi farmaci per trattare con maggior efficacia questo sottogruppo di pazienti affetti da AML.
Negli anni Giovanni Roti e Matteo Marchesini sono stati sostenuti, oltre che da AIRC, da fondazioni scientifiche nazionali e internazionali, come ad esempio il Translational Research Training in Hematology (TRTH), l’American Society of Hematology (ASH) e l’European Hematology Association (EHA), la Fondazione GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto) e l’associazione Onlus Beat-Leukemia.
Tutti questi enti hanno reso possibile la ricerca e la sua presentazione nei più prestigiosi congressi di ematologia nazionali e internazionali quali l’ASH e l’EHA meeting. Costante è stato l’impegno della sezione di Parma dell’Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi, Mieloma – AIL.