(Sesto Potere) – Forlì – 28 maggio “La politica culturale di questi ultimi anni è apparsa vuota nel concetto, debole nel progetto, episodica nel percorso. C’è una differenza tra cultura e spettacolo: sono due mondi che spesso interagiscono, che a volte si completano, ma l’uno non può sostituire l’altra. Le luminarie, il liscio, le grigliate e le piadinate in piazza, qualche sporadica conferenza di critici d’arte, tutto questo va bene, ma cosa rimarrà di questi anni? Cinque anni di chiusura di cinque dei sei musei cittadini, cinque anni (meno gli ultimi due mesi) di abbandono della Rocca, il consenso alla distruzione della casa di Morgagni, l’ignoranza dell’esistenza dei depositi culturali di via Asiago, la cancellazione del percorso nell’arte contemporanea di Palazzo Romagnoli, l’interruzione di tante esperienze di condivisione delle scelte e di collaborazione fattiva con i centri cittadini di aggregazione culturale, la mancanza di qualsiasi attività espositiva, convegnistica, didattica, editoriale, concorsuale intestata al Comune: questo rimarrà nel tempo”: lo scrivono in una lettera aperta 46 cittadini, tra loro esponenti del mondo culturale, artistico, giornalistico e musicale forlivese.
Il documento è stato sottoscritto da: Raoul Benghi, Neo Bertaccini, Miria Bovino, Gianluca Brusi, Franco Camporesi, Roberto Camporesi, Alberto Casadei, Claudio Casali, Claudia Castellucci, Gianignazio Cerasoli, Tiziana Donati, Franco Fabbri, Anabela Ferreira, Flora Fiorini, Mirtide Gavelli, Ennio Gelosi, Luigi Impieri, Maria Roberta Lucchesini, Alvaro Lucchi, Miria Malandri, Fiorella Maria Mangione, Luca Massari, Giovanni Matteucci, Alessandro Merci, Federico Montanari, Pantaleo Palmieri, Filippo Pantieri, Andrea Panzavolta, Fabrizio Rappini, Mariangela Ravaioli, Annalisa Ronchi, Rocco Ronchi, Franco Sami, Gianni Saporetti, Andrea Savorelli, Raffaella Sintoni, Sergio Spada, Filippo Tadolini, Giovanni Tassani, Ulisse Tramonti, Paola Truppi, Silvia Turroni, Marco Vallicelli, Vince Vallicelli e Gabriele Zelli.
I firmatari citano una frase pronunciata dall’assessore alla Cultura Valerio Melandri allorchè dichiarò che: “Forlì è un cittadone di provincia, non è mica Firenze”…
“Certo – replicano i sottoscrittori del documento – , non siamo Firenze, siamo Forlì e rivendichiamo con orgoglio duemila anni di storia, una storia fatta di cultura vera, di grandi personalità, di pensatori e di innovatori, una città timida e testarda ad un tempo ma estremamente intelligente, che non ha bisogno che le venga dispensata una “cultura accessibile a tutti, comprensibile, altrimenti non serve a niente”. La cultura non deve “servire a qualcosa”. La cultura non deve avere finalità, né confini, né limitazioni; non esiste una cultura facile contrapposta ad una cultura per “intelligenti”. Culturalmente, anche se non platealmente, Forlì è una città viva, vivace, piena di risorse, ma soffre l’inerzia e l’episodicità, gli elementi propri di un’inconsistente politica culturale”.
L’appello lanciato è a: “condividere scelte ed azioni con gli attori presenti ed operanti in ambito culturale, soprattutto con il mondo variegato e attivo dell’associazionismo portatore di consocenze specifiche, di esperienbze pregresse e di idee innovative”.
“Riteniamo necessario – scrivono ancora i firmatari dell’appello – che l’amministrazione intraprenda un percorso diverso da quello fin qui seguito, in vista della formulazione di un progetto chiaro e condiviso che riscatti gli anni perduti. Molti cantieri nei contenitori culturali sono avviati da tempo e si concluderanno negli anni; altri dovranno essere avviati al più presto. Complessi spostamenti interesseranno le sedi preposte alla conservazione e tutela del patrimonio bibliografico e museale. Questa fase non dovrà vedere opere e materiali stoccati qua e là, in ordine sparso o in depositi temporanei non accessibili. Dovrà, questa, trasformarsi in un’occasione per rendere fruibile e visibile anche ciò che in questi anni è stato tenuto in stand by e che molti forlivesi non hanno avuto modo di esplorare, magari programmando un sistema di esposizioni anche temporanee, come è stato fatto in passato”.
Quello che “più importa” ai firmatari è il “progetto finale” con la visione di: “una collocazione di tutte le raccolte cittadine all’interno di due poli (quello bibliotecario/archivistico nel Palazzo del Merenda e quello destinato alle raccolte museali ed artistiche con fulcro nel San Domenico, all’interno delle varie sedi disponibili tra Rocca di Ravaldino e Monastero della Ripa, per una restituzione definitiva del patrimonio a chi ha il diritto e il dovere di conoscerlo”.
La proposta finale dei firmatari è quella di “intervenire in modo strutturale e continuativo in favore della produzione artistica, sia nel campo delle arti visive (pittura, scultura, fotografia, cinema) che in quelli della musica, del teatro, della poesia, della narrativa, della filosofia, della scienza”, programmando anche forme di collaborazione con il mondo della scuola per un’alfabetizzazione sulla storia e sulla cultura locali, sulle esperienze artistiche locali, sul dialetto e sulla civiltà contadina”.