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Record di donne imprenditrici in Italia, il più alto numero in UE a 27. Soprattutto al Sud le imprese in rosa

(Sesto Potere) – Mestre – 20 dicembre 2025 – Il numero di donne imprenditrici presenti in Italia è il più elevato dell’ UE a 27. Nel 2024 la platea delle partite Iva in capo alle donne presenti nel nostro Paese ha toccato la soglia di 1.621.800 unità, pari al 16 per cento del totale donne occupate in Italia. Seguono la Francia con 1.531.700 (10,8 per cento donne occupate), la Germania con  1.222.300  (6,1 per cento) e la Spagna con 1.136.000 (11,3 per cento). E’ un record molto importante che, comunque, non cancella il primato negativo riconducibile al nostro tasso di occupazione femminile che, sebbene negli ultimi anni sia tornato a crescere, rimane ancora il più basso in tutta l’UE. In Italia la crescita delle imprese guidate da donne è proseguita anche nei primi 9 mesi di quest’anno: nella media dei primi 3 trimestri del 2025  lo stock è stato di 1.678.500 unità (+ 2,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024). Sebbene in termini assoluti le donne imprenditrici siano meno della metà dei colleghi uomini, la variazione percentuale registrata nel 2025 è più che doppia rispetto al dato riferito all’imprenditoria maschile (+1,1 per cento). 

A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre.

  • Sette donne su dieci guidano un’impresa di servizi o commerciale

Il 71 per cento delle imprese guidate da donne presenti in Italia riguarda i servizi/commercio (1). Al 30 settembre di quest’anno, il settore con il maggior numero di aziende capitanate da una imprenditrice è il commercio: questo comparto ne conta 288.411 attività. Seguono l’agricoltura con 186.781, gli altri servizi (quali parrucchiere, estetiste, tatuatrici, massaggiatrici, pulitintolavanderie, ecc.) con 136.173, e l’alloggio/ristorazione con 120.744.

(1) Non sono inclusi i settori manifattura, trasporti, costruzioni, energia e agricoltura.

  • A differenza dei maschi, le donne assumono donne

Il basso tasso di occupazione femminile in Italia è principalmente attribuibile all’elevato carico di lavoro domestico che grava sulle spalle delle donne. Purtroppo, il nostro Paese ha storicamente investito in misura limitata nello sviluppo dei servizi sociali e della prima infanzia, penalizzando le donne in modo duplice. In assenza di adeguati investimenti in questi ambiti non sono stati creati nuovi posti di lavoro che avrebbero potuto essere occupati prevalentemente da donne. Numerosi studi a livello internazionale dimostrano come l’imprenditoria femminile possa rappresentare una chiave per incrementare l’occupazione femminile; infatti le donne che fanno impresa tendono ad assumere altre donne in misura significativamente maggiore rispetto ai loro colleghi maschi.

  • A differenza dei maschi, le donne assumono donne
    Il basso tasso di occupazione femminile in Italia è principalmente attribuibile all’elevato carico di lavoro domestico che grava sulle spalle
    delle donne. Purtroppo, il nostro Paese ha storicamente investito in misura limitata nello sviluppo dei servizi sociali e della prima infanzia,
    penalizzando le donne in modo duplice. In assenza di adeguati investimenti in questi ambiti non sono stati creati nuovi posti di lavoro
    che avrebbero potuto essere occupati prevalentemente da donne.
    Numerosi studi a livello internazionale dimostrano come l’imprenditoria femminile possa rappresentare una chiave per incrementare
    l’occupazione femminile; infatti le donne che fanno impresa tendono ad assumere altre donne in misura significativamente maggiore rispetto ai loro colleghi maschi.

  • L’autoimpiego come strumento per tornare nel mercato del lavoro e conseguire i propri sogni
    La letteratura specializzata (2) evidenzia almeno due fattori che motivano le donne a intraprendere un percorso imprenditoriale. Il primo è
    strutturale ed è correlato alla condizione socio-economica: situazioni di disoccupazione, tradizioni familiari o la presenza di incentivi economici inducono a considerare l’imprenditorialità come necessità. Il secondo fattore è motivazionale e concerne ragioni intrinseche che spingono le donne ad abbracciare tale opportunità; questo aspetto sembra rispecchiare maggiormente la sensibilità femminile. Grazie
    all’autoimprenditorialità, le donne possono gestire con maggiore flessibilità gli impegni lavorativi insieme a quelli familiari. Inoltre, coloro
    che si trovano in condizioni di inattività a causa della nascita di un figlio incontrano notevoli difficoltà nel reinserirsi nel mercato del lavoro.
    L’autoimpiego si è affermato come uno degli strumenti più efficaci per riconquistare protagonismo nella propria vita professionale e realizzare i propri obiettivi e aspirazioni nella speranza di ottenere risultati economici gratificanti e una maggiore indipendenza.

Una leva da valorizzare
L’imprenditoria femminile non è solo una questione di equità sociale o di pari opportunità. Come abbiamo riportato più sopra, svolge un ruolo importante nel far crescere l’occupazione femminile e l’autoimpiego. In un contesto segnato da stagnazione demografica, transizioni
tecnologiche e ridefinizione dei modelli di lavoro, il contributo delle donne all’attività imprenditoriale rappresenta una leva da valorizzare di
più. I dati internazionali mostrano una costante: la quota di imprese guidate da donne è significativamente inferiore a quella maschile,
nonostante livelli di istruzione mediamente più elevati e una crescente presenza femminile nel mercato del lavoro. Questo divario non è
neutrale dal punto di vista macroeconomico. Secondo stime di organismi internazionali, colmare anche solo parzialmente il gap di
genere nell’imprenditorialità potrebbe generare un aumento rilevante del Pil, grazie a una migliore allocazione del capitale umano e a una
maggiore diversificazione del tessuto produttivo.

(2) Tra gli altri, Gobbi L. (2009), Diverse forme di sostegno per la crescita dell’imprenditoria femminile. Analisi di storie di donne imprenditrici, Università la Sapienza, Roma.

  • Modelli di governace più inclusivi
    L’importanza dell’imprenditoria femminile emerge anche sul piano qualitativo. Numerosi studi indicano che le imprese guidate da donne
    tendono ad avere modelli di governance più inclusivi, una maggiore attenzione alla sostenibilità di lungo periodo e una propensione più
    elevata all’innovazione organizzativa. Non si tratta di tratti “naturali”, ma del risultato di percorsi professionali spesso più complessi, che
    costringono le imprenditrici a sviluppare competenze trasversali e strategie adattive. In un’economia sempre più basata su servizi
    avanzati, economia della conoscenza e relazioni, questi fattori diventano competitivi.
  • Alto valore sociale
    C’è poi un aspetto settoriale. L’imprenditoria femminile è particolarmente presente in ambiti come sanità, istruzione, welfare, cultura e servizi alla persona, settori che stanno assumendo un peso crescente nelle economie mature. Rafforzare queste imprese significa
    investire in comparti ad alto valore sociale e con forti esternalità positive, spesso trascurati dalle politiche industriali tradizionali ma
    centrali per la coesione e la produttività complessiva.

  • Difficoltà di accedere al credito
    Il problema non è la mancanza di iniziativa, ma l’accesso alle risorse. Le imprenditrici incontrano ostacoli sistemici: maggiori difficoltà nel
    credito, minore accesso al capitale di rischio, reti professionali più deboli, oltre al carico sproporzionato di lavoro di cura. Questi vincoli
    producono imprese mediamente più piccole e meno capitalizzate, non per limiti di capacità, ma per condizioni di partenza asimmetriche. Il
    risultato è una perdita di potenziale per l’intero sistema economico.
    Da qui il ruolo delle politiche pubbliche, che dovrebbero spostarsi da un approccio simbolico a uno strutturale. Incentivi mirati, strumenti
    finanziari dedicati, servizi di accompagnamento e, soprattutto, politiche per la conciliazione tra lavoro e vita privata non sono misure “per le
    donne”, ma interventi pro-crescita.
  • Le imprese in rosa sono soprattutto al Sud: Molise, Basilicata e Abruzzo
    Se analizziamo la distribuzione geografia delle imprese guidate da donne, scorgiamo che la ripartizione con il numero più alto è il
    Mezzogiorno che, al 30 settembre di quest’anno, ne contava 415.242.
    Seguono il Nordovest con 280.121, il Centro con 245.165 e il Nordest con 209.602. Se, invece, calcoliamo l’incidenza delle imprese femminili sul totale imprese è sempre il Sud a segnare la quota più elevata: precisamente il 24,3 per cento.
    A livello regionale, il più alto numero di attività guidate da donne lo troviamo in Lombardia con 162.190 aziende. Seguono la Campania con 119.137, il Lazio con 112.200, la Sicilia con 93.129, il Veneto con 86.972, il Piemonte 84.832 e l’ Emilia Romagna con 82.807 imprese femminili.
    Se, infine, misuriamo l’incidenza delle imprese femminili sul totale aziende, il dato più elevato è riconducibile al Molise con il 27,7 per cento. Seguono la Basilicata con il 27,3, l’Abruzzo con il 25,9 e l’Umbria con il 25,3