(Sesto Potere) – Ferrara – 25 luglio 2025 – I Carabinieri della Compagnia di Portomaggiore, in provincia di Ferrara, hanno collocato agli arresti domiciliari un uomo di 47 anni, di origini pakistane ma da tempo residente in zona, procedendo anche al sequestro di un immobile nella sua disponibilità, situato nel Comune di Fiscaglia, sempre in provincia di Ferrara.
L’operazione è il frutto di lunghe e minuziose indagini, condotte dal Nucleo Operativo della Compagnia, con il supporto dei colleghi della Stazione di Massa Fiscaglia e del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Ferrara, partite nel 2023 dalla denuncia di un coraggioso 30enne, anch’egli pakistano e domiciliato in zona, primo di quello che è risultato un folto gruppo, composto da almeno 15 connazionali, vittime del c.d. “caporalato”.
Indagini poi confluite in un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari di Ferrara che, concordando pienamente con l’ipotesi d’accusa formulata dalla locale Procura della Repubblica sulla base delle indagini dell’Arma, ha emesso l’ordinanza di arresto ed il provvedimento di sequestro preventivo.
Gli approfondimenti investigativi, fatti di lunghi servizi di osservazione, pedinamenti, interviste ai lavoratori ed altre attività, hanno documentato come la condotta del “caporale” si sia protratta dal 2020, senza soluzione di continuità, sino ad oggi.
Il reato ipotizzato è quello, previsto dall’art. 603 bis del codice penale, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravata dalla minaccia e dalla violenza, a cui si aggiungono il sequestro di persona e le lesioni aggravate.
Al “caporale” arrestato viene contestato il reclutamento di manodopera per il lavoro nei campi, costituita talvolta da soggetti in condizioni di clandestinità e, quindi, impiegata senza contratto, allo scopo di destinarla al lavoro, presso aziende agricole delle province di Ferrara e Bologna, in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori e adottando comportamenti violenti e minacciosi nei confronti di alcuni di essi.
Persone costrette a lavorare anche 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, riposo settimanale una tantum, niente ferie, visite mediche, formazione sulla sicurezza, pagati 5-6 euro l’ora a fronte di una spettanza pari a circa un terzo in più, differenza che veniva incamerata dal “caporale” per la sua “attività”, che consisteva nella mediazione dell’offerta di lavoro, nella cura delle pratiche per ottenere l’ospitalità o la residenza o per l’emersione dal lavoro irregolare (che, proposta da un “caporale”, aggiunge la beffa al danno), nel procacciare un posto letto – il più della volte in un’abitazione fatiscente, in cui si versavano fino a 150 euro al mese per il posto letto e fino a 300 per vitto e alloggio e dove potevano essere stipate fino a 18 persone, come nel caso dell’immobile sequestrato – e nel fornire il servizio di trasporto da e per i luoghi di lavoro, a bordo di monovolume e furgoni altrettanto vetusti.
Per conservare il lavoro, queste persone dovevano evitare assenze anche in caso di malattia, e non era loro permesso ribellarsi, sotto pena di ritorsioni sui familiari rimasti in Pakistan o del trattenimento di parte del salario, utilizzato anche quale “sanzione” per presunte inefficienze sul lavoro.
In un caso, il caporale è arrivato al sequestro – letteralmente – del lavoratore in casa per diverse ore, impendendogli di uscire con minacce e percosse.
Per garantirsi il pieno controllo sui connazionali, il “caporale” manteneva, in via esclusiva, i rapporti con gli imprenditori agricoli, presso cui i lavoratori venivano impiegati spesso “in nero”, occupandosi di riscuotere in contanti le paghe che poi, dopo le decurtazioni per i “servizi” resi ai lavoratori, riversava a questi ultimi.
Nei casi in cui venivano formalizzati i contratti di lavoro e le spettanze, quindi, versate mediante bonifico, una parte della somma accreditata veniva poi riconsegnata dai lavoratori, in contanti, al “caporale”.
Il sistema, ormai rodato, si regge – dunque – sullo sfruttamento dello stato bisogno dei lavoratori, che necessitano di denaro per ripagare il viaggio dal Pakistan all’Italia, o da inviare in patria, alle proprie famiglie bisognose.
Lavoratori perlopiù sprovvisti di cultura e conoscenza della lingua italiana, sottoposti ad ogni genere di intimidazione e vessazione e vittime di costanti violazioni della normativa sulla sicurezza e dei diritti dei lavoratori.