martedì, Maggio 20, 2025
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Caporalato e coop spurie: i dati dell’8° Rapporto agromafie di Coldiretti/Eurispes. Nord ed Emilia-Romagna nel mirino

(Sesto Potere) – Roma – 20 maggio 2025 – “Nelle regioni del Nord Italia il caporalato assume fattispecie più articolate, ma non per questo meno subdole. Qui il processo di intermediazione è controllato dalle cosiddette “imprese senza terra”, che provvedono a garantire all’imprenditore agricolo il numero di braccianti richiesto per i giorni necessari, sgravandolo degli aspetti burocratici legati alla gestione diretta della forza lavoro, come i contratti di assunzione, le visite mediche, la registrazione delle giornate lavorate e la trasmissione all’Inps. Questo meccanismo si configura come un’esternalizzazione del servizio a un soggetto che assume su di sé anche le incombenze formali di tale servizio. Pur assumendo la forma giuridica di cooperative, queste imprese impongono ai lavoratori potenziali l’adesione alla cooperativa in cambio del lavoro, salvo poi non beneficiare di alcun vantaggio dell’istituto cooperativistico.”

Questo emerge nel nuovo (l’ottavo) Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Eurispes, Coldiretti e Fondazione Osservatorio agromafie presentato oggi al Centro Congressi Palazzo Rospigliosi, sede di Coldiretti, alla presenza, tra gli altri, del Presidente e del Segretario generale di Coldiretti, Ettore Prandini e Vincenzo Gesmundo, di Alberto Mattiacci, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Sapienza Università di Roma Presidente Comitato Scientifico dell’Eurispes, Francesco Lollobrigida, Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Giovanni Melillo, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Chiara Colosimo, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia e Jacopo Morrone, Presidente Commissione bicamerale d’inchiesta sugli illeciti nel ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentari.

“Le retribuzioni possono risultare fino al 40 % inferiori rispetto a quanto previsto dai contratti nazionali o provinciali e anche qui ricorre il fenomeno del “lavoro grigio”. Sotto una veste apparentemente legale, articolano prassi del tutto assimilabili a quelle del caporalato classico, dall’elusione contributivo previdenziale alla violazione delle norme in materia di lavoro, fino allo sfruttamento lavorativo, la tratta degli esseri umani, la violenza. Il fenomeno, d’altronde, non è peculiare al settore agricolo: recenti indagini avviate dalla procura di Milano nei confronti di rilevanti marchi della moda, oltre che di colossi della distribuzione come Amazon o importanti insegne di supermercati, mostrano che il ricorso a imprese in sub-appalto ha una diffusione molto ampia, anche da parte di soggetti con fatturati significativi e con una proiezione internazionale”.”: si legge ancora nel Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Eurispes, Coldiretti e Fondazione Osservatorio agromafie.

“Se il lavoro grigio appare un fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale, quello delle cooperative spurie o senza terra sembra essere una caratteristica a oggi prevalente nelle regioni del Nord Italia, in particolare Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e in alcuni distretti agricoli del Centro Italia, in particolare l’Agro Pontino. L’istituto della impresa senza terra rappresenta un’evoluzione del caporale classico, in un certo senso più sofisticato di quello tradizionale perché ammantato da una veste formale. In genere, i responsabili di queste imprese sono cittadini stranieri o di origine straniera, che cooptano attraverso gli appalti ottenuti altri cittadini immigrati e sfruttano la loro scarsa conoscenza delle normative per pagare loro salari più bassi del dovuto, presentare buste paga incomplete, non versare i contributi e per questo ottenere profitti più elevati”: si afferma nell’ 8° Rapporto Eurispes-Coldiretti sulle agro-mafie.

“E l’imprenditore agricolo – afferma ancora l’indagine – spesso non è nemmeno a conoscenza delle condizioni lavorative e dei deficit di pagamento della cooperativa, ma la legge approvata nel 2016 allarga le maglie della responsabilità al datore di lavoro. Lo dimostra il caso di una società, colosso del settore frutta e verdura di Delzago in Lombardia con un fatturato da 350 milioni di euro, posta nel 2021 in amministrazione giudiziaria in seguito a un’inchiesta su caporalato che coinvolgeva diverse aziende, consorzi e cooperative con cui aveva rapporti di lavoro per la coltivazione e la raccolta dei prodotti che poi vendeva.”

“I casi emersi negli ultimi anni nel Nord Italia, anche in comparti produttivi dall’altro valore aggiunto, come il settore vitivinicolo in Veneto o
in Piemonte, grandi aziende dell’orto-frutta in Lombardia, aziende zootecniche in Veneto, mostrano che si tratta di una prassi tutt’altro che
marginale. Il laboratorio Veneto: regno delle cooperative spurie. Con oltre 82mila imprese agricole censite nella regione, il 7% del totale nazionale, il settore agricolo in Veneto genera un fatturato di oltre 6 miliardi di euro. La regione si colloca al 5° posto in Italia con 5.698 aziende, subito dopo la Toscana (7.624), la Lombardia (6.347), il Trentino AltoAdige (6.203) e l’Emilia-Romagna (5.725)”: secondo quanto illustrato nel Rapporto, che spiega come: “Il settore agroalimentare sia diventato sempre più attrattivo per le organizzazioni criminali che aumentano sempre più i tentativi di estendere i propri tentacoli su molteplici asset legati al cibo”.

“Un esempio è proprio lo sfruttamento degli immigrati attraverso il caporalato, gestito da reti criminali italiane e straniere. Ma le agromafie usano le pieghe della burocrazia per promuovere il credito illegale, acquisire aziende agricole e riciclare denaro, mentre gli imprenditori subiscono minacce e danni per cedere terre e attività, anche a causa della crisi legata alle tensioni internazionali e all’aumento dei costi di produzione che ha caratterizzato questi ultimi anni, indebolendo molte imprese. L’obiettivo principale sono i fondi pubblici e il controllo di mercati e appalti, con l’aiuto di professionisti compiacenti e documenti falsi. Ma le infiltrazioni si estendono a ristorazione, mercati ortofrutticoli e grande distribuzione, senza risparmiare vere e proprie le frodi alimentari, con prodotti adulterati o senza etichetta, spesso venduti nei discount. I settori più colpiti sono vino, olio, mangimi e riso, usando agrofarmaci vietati e false certificazioni bio da importazioni dell’Est Europa”: si legge ancora nel  Rapporto sull’agro-pirateria.

Infine, “un altro fenomeno insidioso è rappresentato dall’Italian Sounding, ovvero il commercio di prodotti che di italiano hanno il nome o segni distintivi sulla confezione ma che in realtà non hanno alcun legame produttivo con il nostro Paese. Il caso più evidente è quello dell’agropirateria internazionale, di cui il Parmesan, clone di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, o le varie imitazioni del Prosecco (l’ultimo, il Calsecco californiano) rappresentano i simboli più noti. Un mercato che ha raggiunto il valore record di circa 120 miliardi di euro, pari a quasi il doppio di quello dell’export agroalimentare totale. Ma a danneggiare gli agricoltori e i consumatori italiani è anche l’Italian Sounding di casa nostra, quella zona grigia dove, grazie al principio di ultima trasformazione contenuto nell’attuale Codice doganale, è consentito spacciare per cibo italiano quello che italiano non è”: conclude Eurispes che calcola in “25,2 miliardi il business delle agromafie che nel giro di poco più di un decennio ha praticamente raddoppiato il volume d’affari”.