(Sesto Potere) – Forlì – 13 marzo 2024 – Dall’arte antica al Futurismo. Dopo il successo di pubblico della serata di gennaio dedicata ai pregevoli dipinti medievali del Maestro di Forlì, domenica 17 marzo, ore 18:00, al Teatro Diego Fabbri, con ingresso gratuito, torna la rassegna d’arte “Un’Opera al Mese”, giunta al suo sedicesimo appuntamento, con uno dei giganti del Novecento: Giacomo Balla, protagonista assoluto del Futurismo.
Protagonista della serata sarà infatti l’enigmatico dipinto di Balla “Siamo in quattro (beato chi li trova)” realizzato negli anni Venti del Novecento e proveniente dalle collezioni del Museo Civico di Palazzo Romagnoli. L’opera, per l’occasione, sarà esposto al pubblico al Teatro Fabbri.
Promosso dall’Assessore alla Cultura Valerio Melandri, il ciclo di appuntamenti dedicato a far conoscere al grande pubblico i grandi capolavori che appartengono al patrimonio artistico forlivese, è curato dal Dirigente alla Cultura Stefano Benetti e realizzato dal Servizio Cultura in collaborazione con l’Associazione Amici dei Musei di Forlì presieduta da Raffaella Alessandrini.
“Dopo l’appuntamento di gennaio dedicato all’arte medievale – precisa l’Assessore alla Cultura Valerio Melandri – domenica prossima ci “tuffiamo” nel Novecento futurista di Giacomo Balla. Con la rassegna “Un’opera al mese” cerchiamo infatti di attraversare tutti i secoli della storia dell’arte per coinvolgere i forlivesi, e non solo, in un viaggio senza confini temporali, con una narrazione divulgativo pur se rigorosamente scientifica.”
A presentare l’opera al Teatro Fabbri domenica 17 marzo sarà il professor Claudio Spadoni, raffinato storico dell’arte, già direttore dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna e del Museo d’Arte di Ravenna, profondo conoscitore della realtà museale italiana e internazionale e dell’arte moderna e contemporanea.
“Balla Futurista, al Cenacolo artistico Forlì” è la dedica che si legge alla base di un dipinto donato da uno dei maggiori protagonisti dell’avanguardia futurista – precisa il professor Spadoni – che sotto la guida di Marinetti si impose agli inizi del secondo decennio del ‘900, dopo il roboante Manifesto programmatico pubblicato su “Le Figaro” il 20 febbraio 1909. Un dono singolare, quello di Balla, torinese d’origine e romano d’adozione, quando ormai cinquantenne e già da anni affermato, omaggia un semisconosciuto circolo artistico forlivese. Singolare anche perché si tratta di un autoritratto particolarissimo, realizzato probabilmente tra il 1920 e il ’25, ma che in realtà è un ritratto multiplo da “indovinare”. Lo stile è ancora memore della prima stagione futurista, come ribadisce la firma, anche se il movimento marinettiano a quella data, dopo la prima guerra mondiale che aveva segnato uno spartiacque decisivo con la morte di alcuni e il ripensamento di altri, aveva perso lo slancio dei roboanti esordi subito gratificati da una notorietà internazionale.
Lo stesso Balla – prosegue Spadini – si era cimentato in diverse sperimentazioni che costituivano la versione per così dire astratta della pittura futurista, differenziandosi notevolmente fin dagli inizi dai più giovani adepti del movimento, come Boccioni e Carrà. E infatti già nel 1915, sul manifesto della “Ricostruzione futurista dell’universo”, poteva scrivere assieme a Depero: “vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Troveremo gli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo…”. Ma nei primi anni ’20, dopo essersi dedicato anche alla decorazione di oggetti e di interni, Balla eseguì una serie di autoritratti, fra i quali anche quello donato al circolo forlivese, dove tornano insistenti i temi a lui cari della luce, delle compenetrazioni, dei “tagli” cromatici e naturalmente del dinamismo. Autoritratti dove si coglie, talora, l’arguzia, l’ironia che caratterizzeranno anche certi lavori successivi dell’artista, quando tornerà ad un realismo perfino sconcertante, al punto da far scendere un cono d’ombra sulla sua figura, nel secondo dopoguerra, fino alla sua morte.
Il dipinto forlivese – conclude Spadoni – di una stagione ancora densa di riconoscimenti, riserva comunque la sorpresa di un enigma visivo che Balla pone all’osservatore, con l’invito scherzoso a risolverlo”.
Giunta al sedicesimo appuntamento, la rassegna “Un’Opera al Mese” ha fino ad ora raccontato il patrimonio artistico forlivese sia antico che moderno: dalla “Dama dei Gelsomini alle pregevoli opere di “Ebe” e “Stele in gesso dedicata a Ottavio Trento” del Canova”; dal “Pestapepe” alla “Fiasca con Fiori”; dal Beato Angelico e dal Maestro di Forlì al Palmezzano e al Cagnacci; e poi il Novecento con Wildt, De Chirico, Depero, Sironi e, domenica, con questo pregevole dipinto del Maestro Giacomo Balla.