(Sesto Potere) – Bologna – 30 maggio 2023 – A pochi giorni dalla disastrosa alluvione che ha interessato larga parte della Romagna e alcune aree emiliane è prematuro avanzare una stima dei danni. I primi dati provvisori diffusi dalla Regione ipotizzano un impatto non inferiore ai sette miliardi, quantificazione probabilmente destinata a essere rivista al rialzo. Unioncamere ha pubblicato una nota con l’obiettivo non di procedere a una stima dei danni, ma dare evidenza ai dati ad oggi certi, quelli della rilevanza dell’area colpita sull’economia regionale e nazionale.

Per la definizione dell’area sono stati considerati i comuni emiliano-romagnoli inseriti nel decreto ministeriale del 23 maggio 2023 e successivamente rivisto (con ampliamento dei comuni) il 25 maggio 2023. In alcuni casi il decreto fa riferimento a singole frazioni, in questo caso è stato considerato il dato dell’intero comune, con l’eccezione del comune di Bologna non inserito in questa analisi in quanto interessato dal decreto in minima parte. Complessivamente sono stati considerati 79 comuni che si estendono su una superficie di 6.800 chilometri quadrati, (il 30 per cento del totale regionale), abitata da un milione e 164mila persone (corrispondente al 26 per cento della popolazione dell’Emilia-Romagna).

I NUMERI. Nel 2022 il valore aggiunto, quindi la ricchezza creata, dai comuni colpiti dall’alluvione ammontava a oltre 38 miliardi di euro, il 24 per cento del PIL regionale, il 2,2 per cento di quello nazionale. Per il 2023 le previsioni formulate ad aprile ipotizzavano una crescita dello 0,7 per cento che avrebbe portato a superare i 40 miliardi di euro. Se le prime stime dei danni dovessero trovare conferme – e quindi attestarsi tra una cifra tra i 7 e i 10 miliardi – ciò significherebbe un’incidenza sul valore aggiunto del territorio compresa tra il 18 per cento e il 26 per cento. Allo stato attuale è azzardato avanzare ipotesi su quanto i danni si tradurranno in punti persi di valore aggiunto, quello che appare certo è che l’impatto sarà elevato e diffuso a tutti i settori economici.

L’agricoltura vale il 3,2 per cento del valore aggiunto territoriale, l’industria oltre il 27 per cento a certificare un’area a forte vocazione manifatturiera con una spiccata specializzazione nell’agroalimentare. Ne è ulteriore testimonianza l’incidenza del valore aggiunto agricolo sul corrispondente dato nazionale, pari al 3,7 per cento.

Sono quasi 130mila le unità locali attive nei 79 comuni considerati, imprese che danno occupazione a oltre 443mila persone. I settori che contano più addetti sono quelli del commercio, dei servizi alle imprese, dell’agroalimentare e dell’alloggio-ristorazione. Il 40 per cento dell’occupazione regionale dell’industria del legno e dei mobili in legno e quasi il 5 per cento dei lavoratori italiani della meccanica operano in questo territorio.

sede unioncamere emilia-romagna

LE COMPETENZE DISTINTIVE Per individuare le attività che caratterizzano il territorio è opportuno analizzare i dati più in profondità navigando all’interno dei dati settoriali. Se si considerano le singole attività (sulla base della classificazione Ateco a 5 cifre) e se si rapporta il numero degli addetti che operano nei comuni colpiti dall’alluvione con il totale nazionale è possibile far emergere le competenze distintive del territorio.

All’interno delle attività nicchia rientra la produzione di margarina, 675 addetti che valgono il 70 per cento dell’occupazione nazionale. Attività di nicchia sono anche la lavorazione delle sementi per la semina, la produzione di olio da semi oleosi, la fabbricazione di coloranti e pigmenti. Tra le attività driver spicca la produzione di carne di volatili -oltre 4.500 addetti pari al 38 per cento dell’occupazione italiana del comparto – a cui si aggiunge l’attività a monte della filiera, quella dell’allevamento del pollame.

Altra filiera che rappresenta un driver del territorio è quella ortofrutticola, sia nella sua componente manifatturiera di trasformazione sia in quella di coltivazione. Le attività driver non appartengono al solo agroalimentare, attorno al tratto della via Emilia che attraversa l’area colpita si distribuiscono quasi 200 grandi imprese con oltre 50 milioni di fatturato, oltre 300 medie imprese che operano in stretto contatto con le tante piccole imprese del territorio. Un tessuto produttivo diffuso che negli anni ha sviluppato eccellenze nel packaging, in
attività manifatturiere rivolte all’high tech come la fibra ottica, ma anche attività tradizionali come la fabbricazione di divani o di serrature. In questa zona l’industria del tabacco vale oltre la metà del dato nazionale, ma in questo caso non si può parlare di una filiera produttiva in quanto l’attività è circoscritta a pochissime imprese.

Altra filiera driver del territorio è quella turistica. Qui opera oltre il 10 per cento di chi si occupa della gestione di stabilimenti balneari in Italia, le presenze turistiche costituiscono il 4 per cento del totale nazionale, quota che arriva al 9 per cento se si allarga il campo di osservazione all’intera provincia di Rimini.
La Romagna è anche “wellness valley”, primo distretto mondiale del benessere e della qualità della vita, molti dei comuni colpiti ne sono il cuore pulsante. Sempre con riferimento alla dimensione economica, gli addetti operanti nell’area alluvionata e riconducibili ad attività “wellness” sono quasi 11mila, oltre il 4 per cento del totale nazionale. La filiera del wellness nell’ultimo decennio all’interno dei comuni considerati ha aumentato l’occupazione di circa il 20 per cento, a fronte di un aumento degli altri settori attorno al 7 per cento.
Ulteriori dati che raccontano bene il territorio sono quelli che rimandano alla presenza artigiana e alla rilevanza della cooperazione. Un terzo delle imprese del territorio sono artigiane, incidenza che a livello nazionale si ferma al 25 per cento. Le cooperative danno lavoro al 20 per cento degli occupati dell’area, contro il 13 per cento regionale e il 7 per cento dell’Italia.

LE ESPORTAZIONI Tra i numeri che raccontano le competenze distintive quelli delle esportazioni aggiungono una voce importante. Nel corso del 2022 le imprese del territorio che hanno commercializzato all’estero sono state oltre 2.800 per un valore delle esportazioni che ha sfiorato i 14 miliardi di euro. Se si considerano solamente le produzioni con valore complessivo delle esportazioni superiore ai 100 milioni di euro e la relativa quota sull’export nazionale emerge la forte propensione internazionale di alcune imprese del territorio leader nazionali e mondiali nel proprio settore, ma anche la vivacità sui mercati esteri di tante imprese operanti nelle filiere distintive, dall’agroalimentare alla meccanica. Se si allarga il campo di osservazione a tutti i beni esportati indipendentemente dal valore, circa 5mila prodotti, per 120 di questi le imprese dell’area considerata detengono una quota export sul dato nazionale superiore al 50 per cento, per 300 beni una quota che supera il 20 per cento.

I DUE FILI ROSSI. GUARDARE AL PASSATO PER RIPARTIRE. La narrazione dei numeri potrebbe proseguire a lungo, ascoltando quelli che raccontano di un territorio che nel corso degli ultimi vent’anni ha registrato tassi di crescita tra i più elevati tra tutti i comuni italiani, oppure quelli che testimoniano un benessere economico elevato e diffuso superiore a quello raggiunto da larghissima parte del Paese.
Numeri che raccontano di un territorio che nel tempo ha saputo rinnovarsi senza mai smarrire due punti fermi, due fili rossi che ricorrono costantemente.
Il primo filo rosso è che il successo del territorio nel corso dei decenni è sempre correlato alla emersione di imprese leader capaci di orientare sotto il profilo direzionale e strategico l’agire di un gran numero di imprese di minori dimensioni. Le imprese leader e un sistema di piccole imprese collegate in rete hanno consentito di ovviare alle limitazioni imposte dalla dimensione, hanno dato la possibilità – seppur indirettamente attraverso il legame con le imprese più strutturate – a larga parte delle aziende di essere presenti sui mercati esteri e di
essere in prima linea sulla frontiera dell’innovazione. Possiamo leggerlo come una sorta di capitalismo territoriale all’interno del quale alcune imprese assumono una funzione di leadership, facendosi interpreti della proiezione internazionale e dei processi innovativi delle piccole aziende locali. Le filiere agroalimentari – da quella ortofrutticola a quella avicola – che uniscono piccolissime imprese a società leader mondiali ne sono una plastica rappresentazione, così come le filiere meccaniche che fondono qualità artigiana con la
capacità di innovare e di internazionalizzare delle grandi imprese.
Il secondo filo rosso riguarda un’altra tipologia di rete, quella sociale. In questo territorio – alla pari di altri sistemi locali, in particolare in regione – si è avuta crescita economica, coesione sociale e qualità della vita elevata perché si riuscito a creare consenso attraverso la condivisione di valori e obiettivi. Qui si è realizzato un circolo virtuoso tra imprese, lavoratori e cittadini, la competitività delle prime assicurava il benessere sul territorio, l’elevata qualità della vita degli abitanti garantiva le condizioni più favorevoli per la creazione e la
condivisione della conoscenza che, a sua volta, alimentava la crescita economica. Un circolo virtuoso completato da una buona amministrazione del territorio ed un sistema di welfare efficiente. La “wellness valley” è una delle possibili rappresentazioni di questo percorso volto ad annodare i fili della sfera economica e quelli della sfera sociale attorno a una visione, quella di un modello di innovazione sociale che mette al centro le persone e la loro salute.
Sono tanti i numeri che certificano la presenza di questi due fili rossi sul territorio e come siano tra loro fortemente intrecciati. Filiere che si sono sviluppate attorno alle imprese locali driver, un sistema economico che si apre all’estero e innova senza recidere le radici territoriali, grazie anche alla forte presenza artigiana e cooperativa. Un benessere economico diffuso, favorito da una fitta rete di relazioni formali e informali tra le imprese, le loro forme associative e gli enti locali, ma anche dall’apporto di “esternalità positive” generate dai
comportamenti altruistici tra persone, organizzazioni e collettività. I “burdel de paciug” e la generosità di tanti giovani arrivati da tutta Italia ne sono un’ulteriore testimonianza.

Questo modello di sviluppo basato sul legame tra i due fili rossi non è un’esclusiva dell’Emilia-Romagna o di questo territorio, ma qui sicuramente ha funzionato bene, meglio che da altre parti. Negli ultimi anni le transizioni in atto – da quella digitale a quella demografica passando per quella della sostenibilità- la pandemia e gli effetti della guerra in Ucraina sembrano aver indebolito il nodo che stringe i due fili rossi.
L’alluvione rischia di sfilacciare ulteriormente questo legame. Al tempo stesso, la ripartenza e la ricostruzione dopo l’alluvione possono essere un collante per rinsaldare la propria identità territoriale, per rinnovare un percorso volto alla condivisione di valori e obiettivi, per ripensare un modello di sviluppo capace di adattarsi a un sistema sociale ed economico in perenne riconfigurazione.

Oggi sono i giorni dell’emergenza, quello del “tin bota”, il tempo in cui non lasciare indietro nessuna persona e nessuna impresa. Seguirà la fase dell’“andarci su dietro”, della ripartenza, del connettere nuovamente i luoghi colpiti nei flussi mondiali, della ricerca di nuove modalità per rinsaldare il legame tra territorio, persone e imprese.

L’esperienza del passato rivela come lo sviluppo del territorio si sia sempre basato su un equilibrio di reciproca convenienza. Per le aziende più piccole l’essere in relazione con le medie e grandi società ha costituito il tramite per connettersi con le reti lunghe. Per le società leader il forte legame territoriale e la cooperazione con le persone e le imprese del sistema territoriale hanno rappresentato un importante fattore
strategico. Il radicamento delle filiere locali fino ad oggi sperimentato deriva non da particolari obblighi sociali delle forme capitalistiche verso il territorio, ma dalla presenza – in questo territorio più che altrove – di altre risorse complementari, quelle legate alla capacità di generare un differenziale competitivo in termini di conoscenze originali ed esclusive.

Il legame tra capitalismo e territorio – o, se si preferisce, tra i due fili rossi – è stato tanto più stringente quanto è stata maggiore la capacità di far evolvere la componente su cui il territorio può agire direttamente, il capitale della conoscenza. Alla luce dei cambiamenti in atto – e della velocità con i quali stanno avvenendo – ciò sembra ancor più vero guardando al futuro.
Pensare a questo territorio – e all’intera Emilia-Romagna – come distretto della conoscenza e del buon vivere può essere la via per congiungere le tante competenze distintive ed esclusive delle persone e delle imprese che lo abitano, per rendere ancora più stretto il nodo che lega i due fili rossi della crescita economica e della coesione sociale.

Non si tratta di una visione nuova, la strada che va in questa direzione è già stata tracciata e in parte percorsa, il piano strategico “Romagna Next” racconta con parole diverse lo stesso cammino. Forse il tempo della ripartenza non sarà di breve durata, probabilmente porterà con sé mille incertezze e altrettante scelte difficili. Tuttavia, di due cose si può essere certi: la prima certezza è che questo territorio nella sua fase di ripartenza sarà un laboratorio a cui guardare per la capacità di sperimentare nuove modalità nel coniugare crescita economica e coesione sociale. E, seconda certezza, – prima di quanto potremmo immaginare oggi – ci troveremo a commentare numeri che raccontano del distretto della conoscenza e del buon vivere.
Questa due certezze non si fondano sui numeri, ma su una base altrettanto affidabile: la resilienza delle persone e delle imprese che abitano questo territorio. Insieme, con l’aiuto di tutti, riprendiamo il cammino.