(Sesto Potere) – Roma – 21 aprile 2022 – La pandemia da COVID-19 ha profondamente cambiato molti aspetti della vita quotidiana degli individui, delle famiglie, dell’organizzazione della società e del mondo del lavoro determinando nuovi assetti e continui cambiamenti che, di volta in volta, hanno avuto effetti sul piano della salute, dell’istruzione, del lavoro, dell’ambiente e dei servizi e, in conseguenza, sul benessere degli individui.
Lo scrive oggi l’Istat nella nona edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). Il volume fornisce un quadro complessivo dei 12 domini (Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi) in cui è articolato il benessere analizzati nella loro evoluzione nel corso dei due anni di pandemia, il 2020, anno dello shock dell’emergenza sanitaria, e il 2021, anno della ripresa economica e dell’occupazione, esaminando le differenze tra i vari gruppi di popolazione e tra i territori.

Come cambia il lavoro in Italia
Nel 2021 l’occupazione torna a crescere, recuperando però solo parzialmente le ingenti perdite subite a causa dell’emergenza sanitaria. Il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni sale al 62,7% (+0,8 punti percentuali), ma resta ancora al di sotto del livello pre pandemico.
La dinamica mostra tuttavia un progressivo miglioramento nel corso dell’anno e nel quarto trimestre 2021 il tasso di occupazione torna superiore a quello del 2019 (+0,4 punti).
La ripresa del 2021 è stata più marcata per le donne (+1,1 punti percentuali sul 2020 rispetto a + 0,6 punti per gli uomini), i giovani (+2,1 punti tra i 20-34enni rispetto a +1,0 tra i 35-49enni e +0,1 tra i 50-64enni) e gli stranieri (+1,5 rispetto a +0,8 degli italiani), che erano stati i soggetti più colpiti dalla crisi del 2020.
I divari territoriali, già diminuiti a causa dei peggiori effetti della pandemia sulle regioni del Centro-nord, continuano a ridursi e nel Mezzogiorno il tasso di occupazione torna ai livelli – ancorché bassi – del 2019 (48,5%). Tra i laureati la ripresa nel 2021 è stata più intensa rispetto agli altri livelli di istruzione e il tasso di occupazione raggiunge il 79,2% (+1,5 punti).
Nel 2021 il tasso di mancata partecipazione al lavoro si attesta al 19,4%, in calo (-0,3 punti percentuali) dopo il forte aumento registrato nel 2020 che aveva interrotto il trend decrescente. L’indicatore diminuisce soprattutto per i giovani fino a 34 anni (-1,7 punti), i laureati (-1,1 punti), i residenti nel Mezzogiorno (-0,7 punti) e le donne (-0,6 punti).

Nel 2021, l’11,3% degli occupati ha un part-time involontario, quota che arriva al 17,9% tra le donne (rispetto al 6,5% tra gli uomini). Si registra un lieve calo rispetto al 2020 (-0,5 punti) dovuto alla componente femminile (-1,6 punti), che vede aumentare la quota delle lavoratrici part time per scelta e, in misura molto minore, quella delle lavoratrici a tempo pieno.
Nel 2021 prosegue il ricorso al lavoro da casa come strumento per proseguire le attività produttive contenendo i rischi per la salute pubblica. La quota di occupati che hanno lavorato da casa almeno un giorno a settimana, che era pari al 4,8% nel 2019, passa dal 13,8% nel 2020, al 14,8%.
Questa modalità – il lavoro da remoto – coinvolge soprattutto le donne (17,3% rispetto al 13% degli uomini), gli occupati del Centro e del Nord (rispettivamente 17,7% e 15,9% in confronto al 10,5% nel Mezzogiorno) e quelli con un titolo di studio elevato che sperimentano il lavoro da casa in più di un caso su tre.
Circa la metà degli occupati risulta molto soddisfatto del proprio lavoro, in aumento di un punto rispetto al 2020; la quota di molto soddisfatti è più contenuta per le opportunità di carriera e il guadagno, e più alta rispetto all’interesse per il lavoro svolto.
Dopo il peggioramento del 2020, nel 2021 migliora la percezione di insicurezza legata al proprio lavoro: la quota di occupati che ritengono probabile perdere l’occupazione e difficile trovarne un’altra simile scende dal 6,4% al 5,7%.