(Sesto Potere) – Forlì – 23 dicembre 2022 – Prosegue la costruzione della rete forlivese a sostegno di Stefano Bonaccini Segretario nazionale del PD. Il comitato forlivese a sostegno di Stefano Bonaccini Segretario nazionale del PD diffonde il contenuto del primo documento elaborato sul tema del lavoro che intende fornire un quadro sintetico delle principali priorità ed urgenze da porre al centro dell’agenda politica di democratici e progressisti.

“È dirimente delineare un processo di riforma generale del mondo del lavoro, che sicuramente è complesso e lungo, ma che può cominciare da disegni di legge specifici, su cui si può coinvolgere tutta la sinistra italiana: l’istituzione della settimana corta con la riduzione dell’orario lavorativo; la definizione di un salario minimo e della parità salariale fra lavoratrici e lavoratori; la legge sulla rappresentanza sindacale per risolvere la situazione dei contratti, una “giungla” da contrastare introducendo tre semplici tipologie di contratti lavorativi, da sostituire alle decine e decine che esistono ora: a tempo determinato, indeterminato e di formazione”: spiega il Comitato forlivese a sostegno di Stefano Bonaccini Segretario nazionale del PD. 

“Il Paese – aggiunge il Comitato – deve procedere speditamente verso una serie di riforme per il mondo del lavoro, con cui orientare il futuro dei democratici italiani, per ritrovare l’anima del Partito Democratico a partire dai pilastri del lavoro e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Raccogliendo quindi le battaglie “dei lavoratori sfruttati e malpagati”, che significa anche risanare il lavoro ‘povero’ che già c’è non solo pensare a come offrirne a chi non ce l’ha. E, soprattutto, impegnarsi concretamente per risolvere la discriminazione di genere, che nel nostro paese è ancora presente, specie a livello salariale, e per dare ai giovani una prospettiva completamente diversa e positiva dei tempi di vita e dei tempi di lavoro. Un nuovo modo di concepire il rapporto tra vita e lavoro, un nuovo statuto per i lavoratori e le lavoratrici, una rinnovata stagione politica fondata sul lavoro”.

A seguire il testo integrale del documento “Per i lavori per i lavoratori” elaborato dal Comitato Promotore Bonaccini Forlì composto da Flavia Cattani e Carla Cecchi, Maurizio Castagnoli ed Enrico Monti, Lubiano Montaguti e Graziano Rinaldini:

Il lavoro, attività fondamentale delle donne e degli uomini, fonte di ricchezza e di progresso, spazio di vita relazionale e sociale, va inteso non soltanto come strumento di sostentamento ma anche come mezzo di espressione, realizzazione e gratificazione personale.

La dignità del lavoro non può prescindere dalle condizioni che garantiscono a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici competenze, indipendenza economica, salute e benessere psicofisico, sviluppo dell’identità culturale personale, stabilità nelle relazioni sociali. La difesa dell’ambiente e l’epocale transizione ecologica – conseguenza del cambiamento climatico – sono responsabilità collettiva che insieme alla trasformazione digitale modificheranno i processi produttivi e il sistema dei lavori, che riguardano gli occupati, i disoccupati e i precari. Nessuno può essere lasciato indietro.

Il Partito Democratico deve riappropriarsi della promozione del lavoro e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e della loro difesa. Nel fare questo è imprescindibile lavorare congiuntamente alle Organizzazioni sindacali affinché, nel rispetto delle reciproche autonomie e distinzioni di ruolo, si colga la condizione concreta delle lavoratrici e dei lavoratori nel mondo del lavoro, superando gli errori del passato, e ponendosi come forza progressista fortemente orientata alla tutela del lavoro e di un progresso sociale ed economico sostenibile ed inclusivo.

Altresì è necessario il confronto con le Associazioni di impresa e datoriali, nella consapevolezza delle reciproche autonomie e distinzioni di ruolo come anche della imprescindibile esigenza della valorizzazione di una sana competizione tra le imprese che premi il tessuto sano dell’imprenditoria e valorizzi competenze, innovazione, internazionalizzazione, la rete di imprese, il rispetto ambientale, l’occupazione stabile , la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e combatta il dumping salariale, l’illegalità e la corruzione.

La dinamica inflattiva e salariale impone interventi radicali a sostegno del reddito e della creazione di posti di lavoro. Partiamo dagli adeguamenti salariali, assumendo in via prioritaria l’istituzione del salario minimo per legge che interesserebbe una platea di 4.500.000 di lavoratori che hanno salari inferiori a 9 € l’ora lordi. Attiviamo strumenti di supporto al reddito (distinguendo tra sostegno alla povertà e inserimento lavorativo) al pari della media europea. Riduciamo la tassazione sui redditi da lavoro e al contempo incentiviamo imprese al fine di adeguare i salari alle professionalità dei lavoratori.

È urgente approvare una legge sulla rappresentanza che dia alle maggiori organizzazioni sindacali e datoriali titolarità alla sottoscrizione di contratti nazionali tali da poter diventare erga omnes, eliminando la pletora di contratti pirata che coesistono negli stessi settori.

Questi i punti

  1. IL SALARIO POVERO IN ITALIA

I salari medi italiani sono molto più bassi rispetto ai livelli europei (quarto posto per povertà lavorativa) e soprattutto poco diversificati per professione, età e comparto. Includendo nel calcolo anche coloro che vengono occupati per meno di sei mesi l’anno, in Italia il 13,2% dei lavoratori ha un lavoro povero.

Secondo Eurostat nel 2021 la paga lorda media in Italia è stata di 15.55 €, 18.01 € in Francia, di 19.66 € in Germania, mentre la retribuzione mensile lorda media è stata di 2.520 € (circa 1.500 € netti) in Italia, di 2.895 € in Francia e di 3.349 € in Germania. Inoltre, il differenziale retributivo lordo per livello di istruzione (la differenza di salario tra i livelli di istruzione inferiori e quelli superiori) nel nostro Paese si colloca tra 27.806 e 44.104 € annui, in Francia tra 28.115 e 47.696 € e in Germania tra 27.005 e 68.144, mentre la media dell’area Euro è tra 25.518 e 51.200 €. In Italia milioni di occupati lavorano senza riferimento contrattuale. Le retribuzioni inferiori a 15.000€ vengono annualmente erogate a più di 8.000.000 di lavoratori. Ciò significa che 8.000.000 di lavoratori sono abbondantemente sotto il salario medio nazionale: una delle ragioni del lavoro povero in Italia. Certamente sono questi fattori che possono concorrere a determinare condizioni di povertà e disuguaglianza, ovvero il reddito individuale, quello mensile, il numero di ore lavorate settimanalmente, i mesi di occupazione, il reddito complessivo del nucleo famigliare (quante persone lavorano, quanto guadagnano, quanti figli a carico), le imposte non equilibrate e i trasferimenti pubblici.

Chiaramente il problema del lavoro retribuito in modo poco dignitoso non riguarda, purtroppo, solo il lavoro subordinato e parasubordinato ma anche quello autonomo, in particolare le partite IVA e il settore delle professioni a basso potere contrattuale.

  1. CONTRATTI COLLETTIVI E RAPPRESENTANZA

Il legislatore costituente, con l’art. 39, colse la necessità di coniugare il pluralismo sindacale con l’esigenza di un contratto di lavoro valido, allora per tutti. Lo stesso articolo della Costituzione poneva una serie di vincoli per la partecipazione dei sindacati alle negoziazioni, stabilendo che il contratto collettivo fosse siglato da una rappresentanza unitaria dei sindacati, formata su base proporzionale al numero degli iscritti.

La realtà delle relazioni industriali si è sviluppata in una direzione molto diversa. Oggi ci troviamo oltre 1.000 contratti nazionali depositati al CNEL di cui solo 215 sono firmati da CGIL- CISL-UIL e dalle maggiori associazioni imprenditoriali.

Sono nate negli ultimi 15 anni sigle sindacali (di comodo) e associazioni con rappresentanze molto limitate che siglano contratti (cosiddetti pirata) con salari più bassi e garanzie normative ridotte rispetto ai contratti nazionali firmati dai sindacati confederali. Ciò ha contribuito all’impoverimento dei salari, tra i più bassi d’ Europa, ed a una vera e propria diminuzione delle retribuzioni pari al 2,9%, a fronte di un aumento negli altri paesi. Il risultato? Trattamenti diversi e salari che, per la stessa mansione, prevedono differenze importanti, anche di 500 € al mese e che sostanzialmente rappresentano anche una concorrenza sleale fra le aziende.

  1. OCCUPAZIONE FEMMINILE E MASCHILE

Il tasso di occupazione maschile nel 2021 era del 67,1 % mentre per le donne era al 49,4%.

Il divario da colmare è di 17,7 punti nella media nazionale che balza fino al 23,8 % nel Mezzogiorno.

Se analizziamo i genitori con figli fino a 3 anni la distanza è ancora maggiore 88,2% degli uomini occupati contro il 57,4 delle donne. È un triste fenomeno che prende il nome di MOTHERHOOD PENALITY che la pandemia ha acuito. Tutto ciò necessita di un cambio di paradigma e di un sistema che ha impellente urgenza di importanti riforme strutturali per incentivare la maternità e il lavoro femminile tra l‘altro previste nei programmi UE relativi a Next Generation. La direttiva UE sull’ equilibrio tra vita professionale e vita privata mira ad aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e introduce specifiche sanzioni per il datore di lavoro che rifiuta di concedere giorni di congedo obbligatorio al padre. Non solo, la direttiva consente ai lavoratori il congedo anche per prendersi cura dei parenti che necessitano di sostegno.

  1. PART TIME INVOLONTARIO

IL 65% delle lavoratrici e lavoratori a part time vorrebbe lavorare di più. Tra i lavoratori nella fascia tra i 20 e i 29 anni vorrebbero lavorare a tempo pieno fino al 76% degli occupati. Lavorare a tempo pieno non gli è consentito perché, secondo un teorema ormai troppo diffuso, il tempo pieno permette alle imprese meno flessibilità e maggior rischio di malattie soprattutto nei servizi e nella grande distribuzione. Questo modello organizzativo va considerato “part time involontario” per il quale l’Italia è prima in Europa.

  1. CONCILIAZIONE LAVORO E VITA

La difficile conciliazione fra vita lavorativa e vita privata rappresenta una rilevante causa di rinuncia all’occupazione e riguarda in particolar modo le donne. Secondo il rapporto dell’Ispettorato del Lavoro, le dimissioni di dipendenti con figli fino a 3 anni hanno interessato il 77,4% dei casi di donne e solo il 22,6% degli uomini. Mentre gli uomini affrontano la stessa difficoltà passando ad un’altra azienda. Cercando un lavoro più in linea con le necessità famigliari, le donne rinunciano al lavoro per l‘impossibilità di trovarne un altro che gli permetta il giusto equilibrio tra maternità, compiti assistenziali di cura ed il lavoro.

  1. GRANDI DIMISSIONI

Nel 2021 hanno lasciato il lavoro, per dimissioni volontarie, quasi 2 milioni di lavoratrici e lavoratori. Nel 2022 il dato è tendenzialmente in crescita (+35% dati INPS). Questo fenomeno, presente dagli Stati Uniti all’Europa, rappresenta una spia d’allarme che va considerata ed analizzata. I lavoratori più giovani, e non solo, ricercano un’attività che consenta loro di svolgere un lavoro a distanza, con maggiore flessibilità negli orari e la possibilità di autogestire la propria quotidianità lavorativa, lontano dalle grandi aree urbane dove il costo della vita è troppo alto. Una ricerca del Politecnico di Milano evidenzia che un giovane su quattro lascia il lavoro per tali motivi. Il dato più critico, che emerge dalla stessa ricerca, è che circa l’83% delle interviste conferma il malessere emotivo dato dall’ assenza di riconoscimento di merito e dal non sentirsi allineati ai valori dell’azienda. Il 96% delle aziende ha difficoltà ad attrarre le nuove risorse indispensabili a far crescere il know how per lo sviluppo digitale, tecnologico e ambientale. Servirà, quindi, una nuova mentalità gestionale ed organizzativa imprenditoriale, dato che viene evidenziato dalla Business School del Politecnico di Milano.

Traspare in modo chiaro il rifiuto di un modello gerarchico autoritario che ancora aleggia in molte aziende piccole e medie. In una epoca di molteplici incertezze, il lavoratore cerca nel “posto fisso”, giustamente, solidità e garanzie, allontanandosi dalla dimensione lavoratore- consumatore radicalizzatasi negli ultimi decenni, nonostante la disastrosa precarizzazione lavorativa ed esistenziale che la flessibilità a tutti i costi ha imposto.

Giovani e non, non sono più disposti a lavorare secondo le leggi del “vecchio sistema” e non sono disponibili ad accettare compromessi tra i valori prioritari della loro identità personale e quelli dell’organizzazione in cui operano. Il fenomeno dei NEET (Not in Employment, Education or Training) ha precorso e si inserisce in questa tendenza sociale-occupazionale, che la pandemia ha accentuato e impone un cambiamento culturale generalizzato sull’impianto gestionale ed organizzativo nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione.

  1. SETTIMANA LAVORATIVA CORTA

La settimana lavorativa corta, con 4 giorni lavorativi e 3 di riposo, può essere l’idea ‘capofila’ di una serie di riforme per il mondo del lavoro. La decisione è stata presa già da molte aziende francesi, tedesche, spagnole, islandesi e irlandesi. Con una serie di vantaggi indiscutibili.

Grazie alla settimana lavorativa corta, i dipendenti hanno più tempo libero e possono così trovare un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e familiare, e più difficilmente abbandonano l’azienda.

Da considerare l’impatto positivo sui costi aziendali e sull’ambiente in generale. Lavorare un giorno a settimana in meno si traduce in risparmio su mobilità, energia, riscaldamento, ecc., tutti temi di straordinaria centralità nella presente fase economico-sociale caratterizzata dall’aumento esponenziale dei prezzi del comparto energia.

Da sottolineare infine il generale aumento della produttività dei dipendenti come emerge dai dati rilevati praticamente in tutte le aziende europee che hanno introdotto la settimana corta.

Ed è proprio sulla tematica della produttività che si gioca la partita della potenziale convenienza dell’introduzione di una simile sperimentazione anche in Italia.

Secondo i dati Ocse 2021, l’Italia è uno dei paesi industrializzati del mondo che lavora in proporzione di più, ma che si contraddistingue, al contempo, per una bassa produttività. Tra i grandi paesi europei, l’Italia è quello in cui si lavora per più ore, con 1.668,5 ore lavorate in media da ogni lavoratore in un anno. Di contro, la produttività risulta non essere in linea con i grandi competitor del continente.

In Italia ogni lavoratore produce in media una ricchezza annuale in termini di Pil pari a 70.894 euro, contro i quasi 80 mila in Germania e gli 86 mila in Francia. L’Italia è anche sotto la media dell’area dei paesi che adottano l’euro, pari a 76 mila euro. Non solo il valore è basso rispetto agli altri paesi europei, ma a confronto cresce meno: rispetto a 20 anni fa la produttività del lavoro in Italia è cresciuta del 31%, contro il 51% della Germania e il 50% della Francia. Anche in Spagna, che ha valori complessivi più bassi, è cresciuta del 55%.

Si tratta di delineare un processo di riforma generale del mondo del lavoro, che sicuramente è complesso e lungo, ma che può cominciare da disegni di legge specificisu cui si può coinvolgere tutta la sinistra italiana: l’istituzione della settimana corta con la riduzione dell’orario lavorativo; la definizione di un salario minimo e della parità salariale fra lavoratrici e lavoratori; la legge sulla rappresentanza sindacale per risolvere la situazione dei contratti, una “giungla” da contrastare introducendo tre semplici tipologie di contratti lavorativi, da sostituire alle decine e decine che esistono ora: a tempo determinato, indeterminato e di formazione.

Sarà necessaria inoltre una riflessione sulla struttura piccola e media delle imprese, con piani a lungo termine per favorire anche economicamente la scelta della crescita dimensionale, una migliore organizzazione del lavoro che implica digitalizzazione, innovazione, disponibilità di tecnologie, internazionalizzazione. Un’azione particolare andrà svolta sul sistema della formazione professionale e della formazione permanente.

La creazione, lo sviluppo, la solidità delle imprese è una priorità assoluta con una particolare attenzione alla sostenibilità ambientale, economica e sociale.

Una serie di riforme per il mondo del lavoro con cui orientare il futuro dei democratici italiani, per ritrovare l’anima del partito a partire dai pilastri del lavoro e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Raccogliendo quindi le battaglie “dei lavoratori sfruttati e malpagati”, che significa anche risanare il lavoro ‘povero’ che già c’è non solo pensare a come offrirne a chi non ce l’ha.

E, soprattutto, fare qualcosa di concreto per risolvere la discriminazione di genere, che nel nostro paese è ancora presente, specie a livello salariale, e per dare ai giovani una prospettiva completamente diversa e positiva dei tempi di vita e dei tempi di lavoro.

Un nuovo modo di concepire il rapporto tra vita e lavoro, un nuovo statuto per i lavoratori e le lavoratrici, una rinnovata stagione politica fondata sul lavoro per il Partito Democratico.