(Sesto Potere) – Parma – 5 novembre 2022 – Esistono segnali circostanziati che gli eventi siccitosi che hanno colpito il nostro territorio negli ultimi anni si possano ripetere sempre più frequentemente in futuro e rappresentino una delle sfide principali con cui tutte le filiere produttive del nostro territorio, particolarmente vocato all’agroalimentare, dovranno confrontarsi.

I Lions dei distretti Ib2 Lombardia e 108 Tb Emilia Romagna, da sempre sensibili al tema dell’acqua, quale risorsa fondamentale per la vita, hanno invitato un gruppo di esperti a confrontarsi – nel corso di un convegno che si è tenuto presso l’Auditorium “Carlo Gabbi” Crédit Agricole Green Life – sugli scenari futuri derivanti da una progressiva carenza di acqua e le possibili ripercussioni non solo sull’ambiente e sull’ecosistema, ma anche sulla qualità di vita delle persone e dei soggetti imprenditoriali ed economici.

Gli esperti tecnici, coordinati dal giornalista Gianni Montanari, hanno proposto una riflessione storica sull’evoluzione climatica registrata nel territorio emiliano, curata da Giovanni Ballarini, professore emerito dell’Università degli studi di Parma, già membro di commissioni scientifiche nazionali e dell’Unione Europea.

“Molti cambiamenti climatici hanno determinato modificazioni, cambiamenti e catastrofi oltre alla scomparsa di società che non sono state capaci di controllarne gli effetti – ha spiegato il prof. Ballarini – come quella del Popolo delle Terramare in Pianura Padana, nel 1200 a. C., che aveva introdotto una forma di agricoltura intensiva lungo le sponde del Po”.

“I cambiamenti climatici sono uno degli argomenti attualmente più trattati non solo a livello scientifico, ma anche socio-politico ed economico – ha sottolineato il professor Massimiliano Fazzini, PhD, coordinatore nazionale gruppo rischio climatico SIGEA – ed è assolutamente necessario e urgente cercare di progettare azioni di mitigazione ed adattamento che consentano di ridurre il rischio climatico”.

“Il distretto idrografico del fiume Po rappresenta una delle aree più importanti e sviluppate in Europa. Durante la prolungata siccità dei mesi scorsi sono emersi in tutta la loro gravità problemi di disponibilità e qualità della risorsa idrica e la perdita di componenti degli ecosistemi acquatici e della biodiversità ad essi associata – ha evidenziato Fernanda Moroni, biologa, dirigente del settore Pianificazione e gestione delle risorse idriche della Segreteria Tecnica Operativa dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po – Il terzo Piano di Gestione del distretto idrografico del fiume Po, in corso di attuazione, contiene le strategie di intervento per raggiungere, entro il 2027, l’obiettivo ambientale di “stato buono” per tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei, da attuarsi in modo responsabile, solidale e collaborativo, sia da parte dei soggetti pubblici sia da parte degli utilizzatori/stakeholder del distretto. In questa direzione va anche il nuovo modello concettuale del ciclo dell’acqua, presentato di recente da United States Geological Survey (USGS) ed esempi di azioni concrete che perseguono questi principi sono rappresentati dallo Studio della risorsa idrica in Val d’Enza e dall’Investimento 3.3 della Misura C.2.4 del PNRR “Rinaturazione dell’area del Po”, in corso di progettazione e realizzazione”.

Particolarmente interessante anche l’intervento del professor Stefano Orlandini, ordinario di Costruzioni idrauliche presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che ha presentato un’approfondita analisi sui serbatoi montani per la riserva idrica, la prevenzione delle alluvioni e lo stoccaggio idroelettrico. “Tra l’inizio del Novecento e il primo dopoguerra, i serbatoi montani sono stati protagonisti indiscussi, utili come riserve idriche per le città, per l’industria, per l’irrigazione e per il turismo – ha evidenziato il professor Orlandini – oggi è più che mai necessario rivalutare i serbatoi montani nella prospettiva di uno sviluppo economico verde del nostro Paese dove l’Uomo possa convivere in armonia con i processi naturali”.

Molti gli interventi e le domande da parte del pubblico in sala a cui gli esperti hanno fatto seguire risposte puntuali e dettagliate.

La giornata di lavori, aperta da Sergio Pedersoli, governatore del Distretto Lions Ib2 Lombardia, e da Cristian Bertolini, governatore del Distretto Lions 108 Tb Emilia Romagna, si è conclusa con l’intervento dell’ingegner Sergio Bandieri che ha presieduta la conferenza insieme ad Antonio Bernini in rappresentanza dei club Lions che hanno organizzato l’iniziativa.

Fernanda Moroni, biologa, dirigente del settore Pianificazione e gestione delle risorse idriche della Segreteria Tecnica Operativa dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, ha fra l’altro dichiarato: “Il distretto idrografico del fiume Po rappresenta una delle aree più importanti e sviluppate in Europa, che vive ulteriori possibilità di sviluppo legate alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma anche preoccupazioni sul proprio futuro, tenuto conto degli eventi estremi legati ai cambiamenti climatici in atto. Durante la prolungata siccità dei mesi scorsi sono, infatti, emersi in tutta la loro gravità, non solo i problemi di disponibilità e qualità della risorsa idrica, ma anche la perdita sottovalutata di componenti degli ecosistemi acquatici e della biodiversità ad essi associata. In questo quadro complesso e in continua evoluzione, i confini e i vincoli entro cui agire per la tutela quali-quantitativa delle risorse idriche sono definiti dalla Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE (DQA). Le questioni ambientali e tecnico-istituzionali ancora da risolvere sono improrogabili non solo ai fini del raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati dalla DQA, ma anche per individuare le tendenze evolutive delle attuali criticità e l’insorgenza di nuovi fattori di crisi. recente da United States Geological Survey (USGS) rappresenta una importante e qualificata testimonianza.

Stefano Orlandini, professore ordinario di Costruzioni idrauliche presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, ha aggiunto: “In passato, tra l’inizio del Novecento e il primo dopoguerra, i serbatoi montani sono stati protagonisti indiscussi dello sviluppo economico del nostro Paese. Non appena la tecnologia ha permesso di trasmettere l’energia da una località all’altra, si è pensato di poter investire nell’energia idroelettrica attraverso la costruzione di impianti sulla dorsale appenninica e soprattutto sull’arco alpino. I serbatoi montani si sono anche rivelati utili come riserve idriche per le città, per l’industria, per l’irrigazione e per il turismo. Oggi è necessario rivalutare i serbatoi montani per lo sviluppo economico del nostro Paese e illustro tre casi studio. Il primo caso di studio è quello del serbatoio di Vetto sul Torrente Enza, una riserva idrica essenziale affinché il distretto agroalimentare di Parma e Reggio Emilia possa mantenere la sua fama internazionale. Il secondo caso di studio è quello della centrale di Nant de Drance in Svizzera, un esempio di stoccaggio idroelettrico come strumento indispensabile per la gestione delle energie rinnovabili. Il terzo caso di studio e quello del serbatoio di Armorano sul Torrente Baganza, una riserva idrica di elevatissima qualità per le città e per le industrie alimentari di Parma, ma anche un valido strumento per la prevenzione delle alluvioni. Il mio intervento oggi invita a riflettere sulla realizzazione di nuovi serbatoi montani nella prospettiva di uno sviluppo economico verde del nostro Paese dove l’Uomo convive in armonia con i processi naturali”.