(Sesto Potere) – Roma – 18 febbraio 2022 – Con l’esplosione dei costi energetici quasi un agricoltore italiano su tre (30%) è oggi costretto a ridurre la produzione di cibo, con una situazione insostenibile che mette a rischio le forniture alimentari e, con esse, la sovranità alimentare del Paese. E’ quanto emerge da un’indagine Coldiretti/Ixe’ diffusa in occasione della grande mobilitazione con decine di migliaia di allevatori ed agricoltori con trattori e animali che ieri hanno lasciato le campagne per scendere in piazza da Nord a Sud d’Italia, a partire dalla manifestazione principale nella Capitale, in piazza Santi Apostoli.
I rincari dell’energia – sottolinea la Coldiretti – stanno avendo un impatto devastante sulla filiera, dal campo alla tavola, in un momento in cui con la pandemia da Covid si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e aumenti dei prezzi di beni essenziali che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare.

Il taglio dei raccolti causato dall’incremento dei costi di produzione – sottolinea Coldiretti – rischia, infatti, di aumentare la dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti agroalimentari con l’Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche il 16% del latte consumato e il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, senza dimenticare il mais e la soia fondamentali per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop, dove con le produzioni nazionali si riesce attualmente a coprire rispettivamente il 53% e il 73%, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga.
Se i prezzi per le famiglie corrono, i compensi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori – denuncia Coldiretti – non riescono, neanche a coprire i costi di produzione con il balzo dei beni energetici che si trasferisce infatti a valanga sui bilanci delle imprese agricole costrette a vendere sottocosto anche per effetto di pratiche sleali che scaricano sull’anello più debole della filiera gli oneri delle promozioni commerciali.
Per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura ad appena 6 centesimi, secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea.

Un doloroso paradosso per chi sino ad oggi non ha mai smesso di lavorare durante la pandemia, evidenziato dal “tavolo della verità” allestito per l’occasione, per far conoscere ai consumatori i prezzi riconosciuti ad agricoltori e allevatori per i principali prodotti che mettono nel carrello. Il latte, ad esempio, viene pagato agli allevatori appena 38 centesimi al litro, mentre un coltivatore di pomodoro da industria per la passata si vede corrispondere addirittura 10 centesimi al chilo, secondo l’analisi Coldiretti.
Non va meglio per chi produce grano per il pane, pagato 31 centesimi al chilo, né per le arance, dove il prezzo in campagna è di 43 centesimi al chilo, che scendono a 18 centesimi al chilo nel caso delle carote.
Con l’avvio delle operazioni colturali gli agricoltori – spiega la Coldiretti – sono costretti ad affrontare rincari dei prezzi fino al 50% per il gasolio necessario per le attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione. Inoltre – continua Coldiretti – l’impennata del costo del gas, utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%).
Per non parlare dell’emergenza siccità che costringerà quest’anno ad aumentare il ricorso all’irrigazione con i costi energetici alle stelle.

Il risultato è che quest’anno produrre cereali, come ad esempio il grano, costa agli agricoltori italiani 400 euro ad ettaro in più, mentre per i produttori di olio extravergine d’oliva e di vino i costi medi di produzione sono aumentati del 12%, secondo un’analisi Coldiretti Ma il boom dei costi energetici riguarda anche il riscaldamento delle serre per piante e fiori con rincari del 30% e i vivai che sono oggi costretti a produrre praticamente in perdita. Nel giro di un anno la bolletta mensile di un’azienda florovivaistica media è passata, infatti, da 1700 euro a 6100 euro. E ad aumentare sono pure i costi per la pesca, con la flotta nazionale costretta rimanere in banchina.
Ma più in generale il rincaro dell’energia – continua la Coldiretti – si abbatte poi sui costi di produzione come quello per gli imballaggi, dalla plastica per i vasetti dei fiori all’acciaio per i barattoli, dal vetro per i vasetti fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi.
Con il paradosso che molto spesso costano di più gli imballaggi del cibo che contengono. Ad esempio, in una bottiglia di passata di pomodoro da 700 ml in vendita mediamente a 1,3 euro oltre la metà del valore (53%), secondo la Coldiretti, è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni, il 18% sono i costi di produzione industriali, il 10% è il costo della bottiglia, l’8% è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6% ai trasporti, il 3% al tappo e all’etichetta e il 2% per la pubblicità.
E in occasione della grande mobilitazione di allevatori ed agricoltori e per gridare la propria intenzione di non volersi fermare, nonostante siano sempre più strozzati dalle speculazioni, il presidente della Coldiretti Ettore Prandini e il Segretario generale Vincenzo Gesmundo, hanno scritto una lettera appello al Presidente del Consiglio Mario Draghi per chiedere interventi immediati per sostenere l’agroalimentare Made in Italy e difendere l’economia, il lavoro ed il territorio, contro speculazioni e rincari.